di Nicola Forlani
Tutti con gli occhi puntati in Irlanda, ad attendere quel fatidico si: scontato; scolorito; burocratico. Un si per quell'Europa alla carta dove ormai ognuno può ordinare quel che gli pare, senza aver in minimo conto la comune dimensione di destino che dovrebbe legare, in un vincolo indissolubile, i popoli del vecchio continente.
Un si raccolto con un referendum burla che fa spregio dell'espressione stessa della volontà popolare. Ma perché gli irlandesi si ostinano a non introdurre una piccolissima modifica costituzionale? Approvino anche loro per via parlamentare i trattati internazionali. Eviteranno a quasi cinquecento milioni di cittadini dell'Unione la periodica messa in scena del referendum bis, la vendetta.
Eppure, l'avvenimento più importante dopo le recenti elezioni tedesche, si stava svolgendo a Manchester. Un città completamente colorata di blu dove David Cameron ha riunito, per l'ultima volta prima delle prossime elezioni di primavera, il partito conservatore.
Il loro ritorno al potere è del tutto scontato. Non c'è partita. Gordon Brown è distanziato di almeno dieci punti. Ma un problema per Cameron c'è, ed è ingombrante come non mai: L'Europa dei ventisette. E' su questo terreno che egli si giocherà la propria capacità di tenere unito il partito, sempre più diviso tra un pragmatismo di basso profilo europeista e lo scetticismo, se non la fobia, ovviamente sempre in salsa euro qualcosa.
Per contenere le spinte centrifughe egli è costretto a procrastinare il giudizio, ben cosciente che i sudditi di sua maestà sono notoriamente sensibili ai richiami isolazionistici - memori di un impero ormai inesistente - sopratutto quando sono chiamati alle urne.
Cameron ha trovato una posizione mediana: se il Trattato non sarà ratificato da tutti i Paesi, quando diventerò Primo ministro, il mio governo indirà un referendum popolare, raccomandando di votare no al Trattato (1). I suoi compagni euroscettici vorrebbero un referendum in ogni caso, ma lui prende tempo, dando al presidente ceco la concreta possibilità di diventare il miglior alleato dei conservatori d'oltre Manica.
I britannici potrebbero denunciare il trattato, appellandosi al diritto di recesso. Contestualmente potrebbero ritirare gli strumenti di ratifica che hanno già depositato. Potrebbero, si certo, ma sarebbe una soluzione del tutto sconveniente, sopratutto per chi ambisce a dare slancio economico e stabilità sociale ad un paese che sta vivendo, con dignità, ma anche con molta apprensione, lo crisi economica internazionale. L'Europa non può essere un pretesto per fratture che sminuirebbero la credibilità internazionale della Gran Bretagna.
In via del tutto ipotetica potrebbero anche ritirare gli strumenti di ratifica senza alcuna denuncia del Trattato. Ma sembra proprio che il caso di specie, teoricamente possibile, non trovi, al momento, alcun precedente storico.
Molto più facile appellarsi a Vaclav Klaus. Il presidente ceco, in quanto a firme adeguatamente ragionate e tranquillamente ponderate, sembra essere proprio un gran campione. Gli sono voluti ben nove mesi per apporre la sua firma alla ratifica dello statuto della Corte penale internazionale. Fatti incresciosi avvenuti proprio in questi ultimi giorni.
Nove mesi. Un tempo utile per favorire la vittoria di Cameron. Poi una volta al potere, chi sa. Lo stesso Klaus potrebbe risolvere la pendenza con una firma repentina, con buona pace per gli euroscettici, gli eurofobici e a tutto vantaggio degli euroentusiasti. In fondo far saltare il banco spalancherebbe la via all'integrazione differenziata, togliendo capacità di interdizione alla Gran Bretagna ed ai suoi satelliti minori. Il vero ed unico obiettivo è garantirsi al meglio la vittoria nelle elezioni politiche, non altro.
Nessuno sa come andrà a finire la storia. E' comunque evidente che quando c'è da raccogliere il consenso popolare che conduce, dritto dritto, agli unici reali centri di potere che esistono in Europa, i governi nazionali, non c'è trattato o interesse comune che tenga. Si può tranquillamente soprassedere alle norme previste dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, con interpretazioni, come dire, fortemente estensive.
Unica nota positiva. Da tutto questo pasticcio sembra si vada sempre più imponendo una nuova coscienza collettiva: proseguire su questa strada sarebbe inutile e suicida. Il quadro geopolitico dei ventisette è incompatibile con nuovi propositi integrazionisti. Solo un nuovo slancio politico, tra chi dovrebbe assumersi le responsabilità storiche dell'Europa in relazione ai destini del mondo, potrà rilanciare il processo di integrazione e con esso la prospettiva stessa della fondazione della Federazione europea.
Tra l'altro, l'occasione buona per i paesi fondatori sembrerebbe anche profilarsi. Piuttosto che star li a menar il can per l'aia con peregrine proposte di un quasi seggio, per una quasi unione, dove c'è un quasi governo, con un quasi ministro degli esteri ed un quasi presidente, il tutto per non contare quasi nulla, Francia ed Italia potrebbero appoggiare la richiesta del seggio permanente per la Germania, a condizione che i membri europei del Consiglio di sicurezza agissero in nome e per conto di un nuovo comitato politico. Tale organismo dovrebbe avere competenze in materia di politica estera e di sicurezza. L'invito potrebbe essere esteso anche alla Gran Bretagna, che, ovviamente, declinerebbe.
Basterebbe un mini trattato di non più di una decina di articoli, ratificato senza indugio alcuno da Francia, Germania ed Italia. Il Patto federale sarebbe bello che servito. Ma per far queste cose, così banalmente rivoluzionare, occorrono degli uomini politici europei che ambiscano al rango di statisti, ma non sembra, al momento, di vederne punto. Inoltre, occorrerebbe un vasto movimento di opinione capeggiato da una classe intellettuale tanto illuminata quanto determinata. Purtroppo, anche di questo movimento, al momento, non se ne vede traccia.
(1) If the Lisbon Treaty is not yet in force at the time of the next general election, and a Conservative Government is elected, *we would put the Treaty to a referendum of the British people, recommending a 'no' vote.* If the British people rejected the Treaty, we would withdraw Britain's ratification of it. Dal sito internet del partito conservatore. http://www.conservatives.com/Policy/Where_we_stand/Europe.aspx
Campoleone, 5 ottobre 2009