venerdì 2 gennaio 2009

Attendendo il trattato di Lisbona

Campoleoene, 26 giugno 2007

E’ del tutto evidente che gli elementi innovati del trattato costituzionale, come prevedibile, sono stati tutti salvaguardati nel trattato di Lisbona.

Perché stracciarsi le vesti? Sono stati aboliti solo gli orpelli retorici e puramente nominalistici voluti da quel campione di europeismo di Valèry Giscard d’Estaing. Quel padre nobile dell’Europa che fortunatamente Francois Mitterand scaccio dall’Eliseo anni or sono, altrimenti di certo oggi non avremmo l’unico vero simbolo di identità comune europea, la moneta.

Il trattato di Lisbona non consentirà di fare nessun passo sostanziale verso lo stato federale, pur se essenziale per il miglior funzionamento dell’Unione. E’ improduttivo da un punto di vista federalista né più né meno di quanto lo fosse il trattato costituzionale.

A Bruxelles è andato in scena un triste gioco delle parti. Una preconferenza si stava già svolgendo da settimane. La Cig dovrà quasi esclusivamente dedicarsi ad una riscrittura di carattere giuridico dei testi. Dovevano portare a casa il core treaty garantendosi al tempo stesso di creare nei propri paesi il giusto consenso politico. Occorre ammettere che sono riusciti nel loro intento.

La filosofia adottata è: per poca roba non si disturbano i cittadini. Peccato che poca roba fosse anche il testo firmato in pompa magna a Roma nella sala degli Orazi e Curiazi sotto al lugubre statua di Innocenzo X. Quel Giovan Battista Panphili, acerrimo nemico dei Barberini, che lasciò governare lo Stato Pontificio alla cognata Olimpia Maidalchini e che fece cardinale il figlio di lei Camillo Francesco Maria.

Il dibattito di questi giorni sui risultati del Consiglio europeo dimostra che quanto più è diffusa la cialtroneria nella valutazione dei fatti tanto più sono apodittici ed arroganti i modi. L’Europa ha reali poteri per il sol fatto che una direttiva si chiama legge, che un alto rappresentante si chiama ministro, che un trattato si chiama costituzione? Non sarà arrivata l’ora di smetterla di trastullarsi in maniera ambigua ed improduttiva con il nome delle cose più che sulla loro vera natura?

Ai federalisti occorre portar pazienza, tanta pazienza. Né abbiamo avuta per il passato. Né sapremo trovare per il futuro. Presto potremmo essere chiamati a nuove battaglie. La guerra di posizione potrebbe esaurirsi presto. Se così fosse, l’unico possibile errore sarebbe quello di farsi trovare divisi.

Nicola Forlani

Viva L'Europa

Campoleone, 23 giungno 2007

Ore e ore di colloqui al cardiopalma. Attese spasmodiche per rotture eclatanti. Minacce di veto e linee rosse invalicabili. Eppure non è accaduto nulla. L’accordo, come era ampiamente prevedibile, sulle linee guida del nuovo trattato è stato raggiunto, ne più ne meno come ci si aspettava.

Ora rientrano tutti a casa potendo sventolare vittoria. Blair esce da campione. Potrà dire di aver vinto sulla Carta dei diritti. In realtà è poco più di una vittoria di carta. Si trasferiscono clausole del trattato nei protocolli e viva la marchesa. Tanto chi lo va a spiegare ai sudditi di sua maestà che protocolli e allegati sono parti integranti del trattato e che le disposizioni ivi contenute prevalgono su quelle del trattato stesso in quanto norme speciali?

I paladini del secondo trattato di Roma, italiani in testa, rientrano soddisfatti di aver eretto una invalicabile linea del Piave, quando l’idea stessa di costituzione l’avevano abbandonata ben prima di raggiungere il Consiglio. Sulle guide rosse del “non possumus” i polacchi vi hanno scorrazzato in lungo e largo razziando, a mani basse, centinaia di milioni di euro. Non c’è che dire. Il prodigioso allargamento suggellato da Prodi nel maggio 2004 è stato un grande, grandissimo affare.

La costituzione europea è morta. L’idea di integrazione federale è stata accantonata. Si è voluto far credere ai beoti cittadini europei che una bandiera, una fanfara inneggiante e qualche altro simbolo bastassero a costituire uno stato.

Ora chi glielo va a spiegare che le dodici stelle gialle contunderanno a sventolare sui palazzi del potere, che il 9 maggio gli studenti continueranno ad essere chiamati a formulare il pensierino sull’Europa, che sulle monete continuerà ad esserci scritto il nome “euro”? In effetti il motto “unita nella diversità” ci mancherà. Riusciremo a sopravvivere?

Bruxelles si svuota. Tutti a casa. Fortuna che le teste d’uovo dei negoziatori della CIG qualcosa di questioni comunitarie ne capiscono sul serio. Tutti a casa e viva l’Europa. E’ incapace di agire, con o senza costituzione, con o senza trattato semplificato, ma “è uguaglio”. Viva l’Europa!

Nicola Forlani

Petizioni e vertici immaginari

Campoleone, 18 maggio 2007

Al fine di evitare che risme e risme di petizioni referendarie si disperdano per le cancellerie delle capitali europee, sarà bene precisare che, nelle prossime settimane, non è previsto alcun “Vertice” né, tanto meno, che questo si svolga a Berlino. Ovviamente si presuppone che con “Vertice di Berlino” si faccia riferimento alla riunione dei capi di Stato e di governo dei paesi membri dell’Ue prevista in occasione della fine del semestre di presidenza tedesca.

La prassi delle “conferenze europee al Vertice” si è conclusa con il Vertice di Parigi del 1974 in cui, per l’appunto, è stato istituito il Consiglio europeo. La sua esistenza giuridica è stata confermata e chiarita dall’Atto Unico europeo (1986). Le sue funzioni sono state precisate dal Trattato di Maastricht (1992).

Così come previsto dalla dichiarazione allegata all’atto finale della Conferenza intergovernativa che ha predisposto il Trattato di Nizza, tutte le riunioni del Consiglio europeo si tengono a Bruxelles dal momento in cui l’Unione conta più di 18 membri. L’allargamento da 15 a 25 stati membri è del maggio 2004.

Pertanto, conformemente alle disposizioni vigenti, il prossimo Consiglio europeo è convocato per il giorno 21/22 giungo 2007 presso il Palazzo Justus Lipsius, Rue de la Loi, Bruxelles, sede, insieme al Centro europeo a Lussemburgo, del Consiglio dell’Unione europea.

Interessante è notare che attualmente il Consiglio europeo non è un’istituzione, ma un organo dell’Unione. Il trattato costituzionale del 2004 riconosce al Consiglio europeo lo status di istituzione vera e propria, oltre a prevederne il Presidente con mandato di due anni e mezzo (con elezione, a maggioranza qualificata, da parte del Consiglio stesso).

Relativamente alle sue funzioni, il Trattato costituzionale innova ben poco, ma l’acquisizione dello status di istituzione dell’Ue comporterebbe la sottoposizione di quest’ultimo al controllo giurisdizionale della Corte di giustizia sia per ricorso di annullamento, che per ricorso per carenza.

Attualmente le decisioni del Consiglio europeo non hanno la caratteristica di atti giuridici comunitari. E’ compito del Consiglio dell’Unione europea (quello che nel Trattato costituzionale viene chiamato Consiglio dei Ministri e per cui continuerà a valere la presidenza turnale semestrale tra gli stati membri) trasformare, successivamente, in atti giuridici formali gli accordi politici raggiunti in sede di Consiglio europeo.

Occorre altresì notare che, così come previsto dal Trattato costituzionale, la Presidenza elettiva di due anni e mezzo (del Consiglio europeo) non andrebbe a sostituire ma a sovrapporsi alla presidenza semestrale tra Stati membri (del Consiglio dei Ministri).

Anche su questi elementi si concentrerà, molto probabilmente, l’attenzione dei diplomatici nel corso della Conferenza intergovernativa che andrà a definire il nuovo Trattato istituzionale. La speranza è che abbiamo l’accortezza di porre mano ad una semplificazione di un sistema barocco di “governace” funzionalista e niente affatto federale.

Pur ammettendo in ipotesi che l’ingorgo di rappresentatività politica, così come definito dal Trattato costituzionale tra Presidente del Consiglio europeo, Presidente del Consiglio dei Ministri, Presidente della Commissione e Ministro degli Affari esteri, sia superabile in un effettivo miglioramento del quadro istituzionale complessivo (anche grazie all’estensione del voto a maggioranza), avremmo ottenuto l’unico evidente risultato di aver rafforzato il ruolo di indirizzo politico, su basi strettamente intergovernative, svolto degli Stati membri in sede di Consiglio e all’interno del sistema di legittimità negoziale dell’Unione.

Forse un buon risultato per stabilizzare e rendere maggiormente coerente il quadro comunitario a 27, ma del tutto insoddisfacente, e pressoché irrilevante, se riferito all’ineluttabile necessità della costituzione dello Stato federale europeo.

Nicola Forlani

“La ferocia dei moralisti (…) è superata soltanto dalla loro profonda
stupidità”

Filippo Turati, da un suo discorso parlamentare del 11 febbraio 1907

C'era una volta, il referendum sul trattato costiuzionale

Campoleone, 6 maggio 2007

Il vero intellettuale rifugge dai dibattiti contemporanei: la realtà è sempre anacronistica.

Jorge Luis Borges

C’era una volta, in terre d’oltralpe, il referendum sul trattato costituzionale. Allora, molti europeisti di sinistra si adoperarono per il si. Il no vinse inesorabilmente e trascinò con se la costituzione in una lenta, ma inesorabile, agonia.

Non paghi, gli stessi attivisti di sinistra presero parte per la sorridente ed evanescente candidata socialista in nome di un presunto ed indimostrabile tasso di maggior europeismo. La presa di posizione non ebbe miglior sorte della precedente, a tutto vantaggio del nuovo presidente di Francia.

C’era una volta un dibattito ormai sterile e palesemente includente che tentava di alimentare il confronto politico istituzionale sul nome delle cose e non sulla sostanza delle proposte. Alcuni sostenevano che il trattato di nome “costituzione” fosse più europeista di un trattato che si chiamava “mini”.

Ragionare su cosa, sia l’uno o l’altro, potessero contenere fu cosa che interessò, fortunatamente e a tutto beneficio dei cittadini europei, solo quelle poche teste d’uovo che furono chiamate a negoziare nella nuova Conferenza intergovernativa.

Fortuna che alcuni diplomatici illuminati compresero presto che il processo costituzionale si era chiuso per lasciar spazio al processo di integrazione differenziata.

C’era una volta il più mini dei mini trattati, il progetto Spinelli del 1984. Occupava dodici pagine esatte della gazzetta ufficiale su cui vennepubblicato. Ma apparteneva al passato, a quel federalismo tradizionale che voleva la “cosa politica europea” su basi statuali. In esso si stabilivano, in modo semplice, questioni apparentemente complesse.

La composizione della Commissione era regolamentata per legge organica. Al potere di iniziativa legislativa avevano accesso anche il Consiglio ed il Parlamento. L’Unione
poteva modificare, con legge organica, la natura e la base imponibile delle entrate o crearne di nuove. Si abbandonava di fatto il principio delle competenze enumerate. Chi mai avrebbe avuto il coraggio di lanciarsi nuovamente in così antichi formalismi istituzionali?

C’erano una volta gli europeisti moderni, alla moda, come la bella ed affascinante Ségolène. Erano cortigiani del soft power e del multilateralismo. Una originale concezione dei rapporti internazionali in cui gli americani fanno con gli altri quello che in ogni caso farebbero da soli e dove gli europei, quando c’è da menar le mani, stanno a guardare, ma pronti ad intervenire, a cosa fatte, con portavivande e crocerossine.

C’erano una volta gli europeisti globalizzati. Essi evocavano le cose. Le evocavano a tal punto che, come per incanto, queste si materializzavano. Chiedevano pace, giustizia sociale, uguaglianza tra i popoli, democrazia internazionale e loro, puntuali, non tardavano a raggiungerli per abbracciarli tutti. Erano così convinti dei propri poteri divinatori che iniziarono ad evocare, in riti collettivi, anche il referendum su …su una cosa di “eguaglio”. Ma questa è un’altra favola. C’era una volta …

Nicola Forlani

9 maggio ex festa dell'Europa

Campoleoene, 25 maggio 2007

E’ triste assistere alla sciatteria con la quale il parlamento italiano ha saputo disconoscere anni ed anni di consapevole impegno per la costituzione europea. Quella costituzione a cui tutti siamo affezionati. Quella costituzione che non è un compendio formale di regole e precetti, ma una dimensione evolutiva e sostanziale di appartenenza. Al tempo stesso affermazione di origini ed impegno per il futuro.

Il 9 maggio non è la festa dell’Europa. Il 9 maggio non è un simbolo a cui qualche convenzionale ha attribuito dignità giuridica nel trattato costituzionale. Il 9 maggio non è la data in cui le istituzioni comunitarie riaffermano la propria legittimità.

Il 9 maggio è l’emblema di come il destino della nazioni e dei popoli si possa concretizzare in un atteggiamento federalistico di fronte al potere, alla società, al processo storico.

Il 9 maggio è una delle rappresentazioni dell’aspetto storico sociale (comunità e cosmopolitismo) che, insieme a quello di valore (pace) e quello di struttura (stato federale), definisce la teoria completa e generale del federalismo. In tale prospettiva la ricorrenza della dichiarazione Schuman potrebbe essere associata ad un solo altro evento, la giornata della memoria delle vittime del nazionalismo.

Invito Salvatore Aloisio ed gli altri amici del forum che hanno evidenziato per primi la questione a farsi promotori di un breve documento/appello da inviare al Capo dello Stato. Ognuno di noi potrà raccogliere, nel più brevetempo possibile, il maggior numero di adesioni con cui sommergere fax ed e-mail del Quirinale e, per conoscenza, dei media nazionali e locali.

Nicola Forlani

Commento alla mozione del Centro regionale MFE Emilia Romagna

Campoleone, 24 aprile 2007

Il recente ordine del giorno del centro regionale Emiliano-Romagnolo del MFE sollecita un incontro tra i dirigenti nazionali e i capilista di Alternativa Europea.

Lo spirito dell'iniziativa è apprezzabilissimo. L'invito ad una ricomposizione delle posizioni è stato già accolto da Alternativa Europea. Il 31 marzo scorso, proprio a Bologna, si è svolto un dibattito serrato e per nulla elusivo. La riunione è stata pubblica, più volte annunciata ed ha visto la presenza di tanti militanti sinceramente preoccupati per il futuro della nostra organizzazione.

L’analisi collettiva, cui hanno contribuito anche amici che da troppi anni non accoglievamo più nelle nostre riunioni, è andata ben al di là della abbozzata proposta di strategia duale. Tanto il segretario che il presidente avrebbero potuto prendere parte ai lavori, non per trattare alcunché, ma per confrontarsi, militati tra i militanti. L'occasione non è stata colta. Altre se ne potranno presentare. Per il futuro sarà bene preservare la formula informale e aperta che è stata già adottata.

In generale, ma soprattutto nelle fasi di transizione, i dirigenti, o coloro che ritengono di essere considerati tali, più che incontrarsi al vertice, farebbero bene ad ascoltare e far tesoro dei più accorti consigli dei militanti; di quelli che non hanno cadreghini da difendere; di quelli che hanno la consapevolezza di avere la forza, quando convinti e non vinti nel formalismo assembleare, di mille funzionari a busta paga; di quelli che desiderano porsi le opportune domande prima di avventurasi in pasticciate risposte; di quelli che riconoscono i veri nemici della Federazione europea al di fuori e non certo dentro la nostra organizzazione; di quelli che il
milione di cittadini li hanno già condotti nelle piazze e che altrettanti sono pronti a mobilitarne.

Tocca ora alla dirigenza del MFE far conoscere i propri orientamenti sul tema, visto che, oltre la provocazione della doppia azione, non è stato comunicato alcunché. Il congresso si è chiuso da quasi due mesi. La proposta pubblica e circostanziata del presidente la stiamo ancora aspettando. Quando sarà illustrata, se non nel dettaglio, almeno per grandi linee? L’ultima circolare della segreteria non contiene accenno alcuno ai risultati del congresso, oltre ad essere del tutto priva di un abbozzo di analisi della situazione mondiale ed europea. Su quali letture del processo in corso dovrebbe snodarsi il confronto politico auspicato?

Sia avanzata una proposta seria, credibile, ponderata e quantomeno condivisa da buona parte della maggioranza. Alternativa europea non si sottrarrà di certo al pubblico dibattito. Sino ad oggi si sono succeduti solo contatti informali che attengono esclusivamente alla sfera dei rapporti personali. Essi non hanno alcuna rilevanza nella categoria dei fatti politici.

Alle persone di buona volontà tocca tenere aperte le strade del dialogo. Al dibattito devono partecipare a pieno titolo, e su un piano di assoluta parità, sia il militante senza cariche che il dirigente. L’unico peso specifico da far valere è quello relativo allo spessore ed alla forza intrinseca delle idee che si coltivano insieme.

Quando le soluzioni politiche troveranno una più chiara definizione, volenti o nolenti, dovranno essere coinvolti, a tempo debito, anche gli stessi vertici nazionali. Se avranno ancora una funzione da svolgere, bene. Altrimenti sarà il caso che si facciano da parte, e presto, tornando a ricoprire l'affascinante ruolo di semplici militanti, lasciando che il “nuovo” avanzi prepotentemente. Prima che sia troppo tardi!

Nicola Forlani


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MFE EMILIA-ROMAGNA
Comitato Direttivo Regionale

Bologna, 12 aprile 2007

Al Presidente del MFE
Al Segretario del MFE
Alla Direzione Nazionale del MFE
Ai primi firmatari della Mozione di Alternativa Europea

Il Comitato Direttivo si è riunito oggi per esaminare, fra le altre questioni, i risultati dell'ultimo Congresso Nazionale del MFE e ha approvato con un solo astenuto il seguente Ordine del Giorno:

Il Centro Regionale dell'Emilia Romagna ritiene che l'unità politica ed organizzativa del MFE sia fondamentale e irrinunciabile per il raggiungimento dei propri obiettivi, a partire dalla Federazione Europea, anche nella prospettiva della trasformazione dell'ONU in un governo mondiale parziale.

Al Congresso di Roma molti delegati hanno chiesto di superare le divisioni fra i sostenitori delle due mozioni; il Centro Regionale esprime in proposito forte apprezzamento e interesse alla proposta, avanzata allachiusura del Congresso e ribadita nel successivo Comitato Centrale dal Presidente del MFE Guido Montani, di conciliare le due azioni federaliste (raccolta di firme per una petizione per un referendum sulla Costituzione Europea e raccolta di firme per uno Stato federale europeo e per l'iniziativa dei Paesi fondatori).

Visti i tempi ristretti a disposizione, il Congresso di Roma si è chiuso con l'impegno di rinviare l'analisi della proposta al prossimo Comitato Centrale previsto per il 7 luglio 2007. Il Centro Regionale dell'Emilia Romagna chiede che, in vista dei lavori del Comitato Centrale di luglio, si svolga un incontro preparatorio fra gli organismi dirigenti, a partire dal Presidente e dal Segretario del MFE e dai primi firmatari della mozione di Alternativa Europea, allo scopo di dare attuazione pratica alla proposta di cui sopra.

Viste le numerose attività federaliste già programmate in questo periodo dell'anno, la data che proponiamo per questo incontro specifico è quella di domenica 13 maggio 2007 a Bologna. Il Direttivo Regionale ritiene che sia vitale per il MFE riunire le due anime; il nostro Movimento potrà lottare per gli ideali federalisti solo se sarà unito e forte e quindi ci auguriamo vivamente che tutti i destinatari accolgano questo invito e diano vita a un lavoro proficuo per superare le attuali difficoltà.

Giancarlo Calzolari (Presidente)
Lamberto Zanetti (Segretario)

Destra o Sinistra? No grazie

Campoleone, 23 Aprile 2007

Per i federalisti europei, che hanno l’ambizione di appartenere alla forze del progresso, destra e sinistra sono entrambe categorie appartenenti ad una visione reazionaria e conservatrice, tipiche dello stato nazionale.

Con la caduta del muro di Berlino, la paccottiglia internazionalista non ha più alcun punto di riferimento ideologico e tenta di abbracciare, trasfigurandola, la proposta federalista . Uno sfregio alle basi teoriche e culturali del nostro essere militanti di un movimento rivoluzionario che non è possibile ulteriormente tollerare.

Nel Manifesto di Ventotene Spinelli, Rossi e Colorni scrivono:

“La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava
incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno”

Poco prima avevano già sottolineato come:

“Le forze conservatrici, cioè i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati nazionali … (omissis)… già fin da oggi, sentono che l'edificio scricchiola e cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto fin'ora e le esporrebbe all'assalto delle forze progressiste. Ma essi hanno uomini e quadri abili ed adusati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati. Si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati, convertiti nel preciso contrario. Senza
dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovrà fare i conti.”

Nicola Forlani