domenica 14 dicembre 2008

Roma, dibattito del 31 maggio

Roma, 31 maggio - incontro tra militanti federalisti

Cari militanti federalisti, è sotto gli occhi di tutti come le trasformazioni economiche, ambientali, sociali e politiche che stanno influenzando l’evoluzione del quadro internazionale, europeo ed italiano, abbiano reso da un lato più urgente, dall’altro lato più difficile battersi per la federazione europea.

In questa situazione, ancora una volta, come in altri momenti cruciali della storia, occorre interrogarsi sinceramente e razionalmente su che cosa i militanti federalisti possono fare nel prossimo futuro, su come essi possono contribuire a far vivere il federalismo di Spinelli e Albertini sul terreno del pensiero e dell’organizzazione e, infine, su quali fronti e in quale quadro è possibile mobilitare le energie vive della società che percepiscono che l’Europa unita, nonostante i successi conseguiti, non c’è ancora.

Il nostro paese si sta avviando verso le elezioni del Parlamento europeo in un clima di profonda disattenzione. Anche negli altri stati dell’Unione, ed in particolare in quelli su cui ricadono le maggiori responsabilità politiche, si sta assistendo ad un progressivo ripiegamento su logiche esclusivamente interne, con un sostanziale abbandono della coincidenza tra interesse nazionale ed interesse europeo. Una prospettiva, occorre sempre ricordarlo, che ha proficuamente alimentato e sostenuto tanto la nascita quanto lo sviluppo del quadro comunitario.

Si tratta di problemi che, per la loro natura teorica, prima che strategica, richiedono momenti di elaborazione e discussione informali ed aperti.

In questa ottica, con questo spirito e con l’aiuto di tanti altri militanti federalisti abbiamo promosso, per il prossimo sabato 31 maggio, presso la sede del Movimento europeo in Roma, l’incontro di cui trovate di seguito il programma e a cui speriamo di incontrarvi numerosi.

Con l’occasione, vogliate gradire i nostri più cordiali saluti.

Maria Teresa Di Bella, Nicola Forlani

p.s.: coloro i quali vogliono inviare dei contributi scritti sui temi
proposti, possono indirizzarli a
publius@thefederalist.eu. Sarà nostra cura raccoglierli e farli circolare in
vista dell’incontro.

Campoleone, 1 maggio 2008

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INCONTRO-DIBATTITO FRA MILITANTI FEDERALISTI

Roma, sabato 31 maggio

p.zza della Libertà, 13 (metro Lepanto)

ore 10,00 Quali tappe verso la federazione europea?

coordina: Nicola Forlani

introduzioni: Salvatore Aloisio, Pier Virgilio Dastoli,

Guido Montani, Luisa Trumellini

ore 11,00 dibattito

ore 13.00 Pausa

ore 14,00 Come rilanciare il federalismo in Italia ed in Europa

coordina: Maria Teresa Di Bella

introduzioni: Stefano Castagnoli, Sante Granelli,

Edmondo Paolini, Franco Spoltore

ore 15,00 Dibattito

ore 17,00 Conclusione dei lavori

Patetica rappresentazione

di Nicola Forlani

A Parigi si sono riuniti in quattro su ventisette. Tra bandiere linde e stirate e volti gommosi ed inamidati, si è distinto un fulgido esempio di olopecia androgenica sconfitta. I soliti ben informati attribuiscono il miracolo tricologico all'esperienza e alle abilità del Ministro Carfagna.

I piccoli uomini alla testa di stati piccoli piccoli si sono impegnati a tutelare, di fronte la grande crisi internazionale, le assicurazione e le banche grandi grandi. Ma si badi bene, ognuno per conto suo. Unico impegno comune è quello al coordinamento. Bene, anzi ottimo! Ma coordinamento su cosa?

L'Europa non esiste. Gli europei sono divisi. L'Unione europea prende sempre più le sembianze di una camicia di forza dalla quale tutti tentano di liberarsi. Il patto di stabilità, unico vero strumento a garanzia dell'euro e della ricchezza dei cittadini, va stretto a tutti.

Sarkosy vuole allentare i parametri di Maastricht. I fidi scudieri governativi raccolti all'Eliseo, tutti sulla via di un inesorabile tramonto, lo spalleggiano. Un bel po' di sano debito pubblico nazionale; questa è la soluzione miracolosa.

E non si può certo affermare che l'improvvido suggerimento giunga dalla consorte Carla Bruni. L'uomo che non sopporta le donne con i tacchi a spillo ripete la solita solfa da anni. Non c'è neanché più chi lo prende sul serio.

Nella stessa aulica sede, tra sorrisi e pacche sulle spalle che non "ci azzeccavano" nulla con la difficoltà del momento, Junker, l'unico statista presente nella sala, chiarisce che tra i paesi dell'eurogruppo non è affatto all'ordine del giorno alcuna revisione dell'impegno al virtuosismo dei parametri macroeconomici.

Sarà mica andato in onda un dialogo tra sordi? E se iniziassero a tentare di coordinare pensiero proprio ed altrui con i movimenti labiali?

Fortuna che il vertice intergovernativo è durato quanto un lampo. Hanno avuto il buon gusto di ridurre al minimo indispensabile la patetica rappresentazione della loro impotenza.

Campoleone, 4 ottobre 2008

L'Europa del direttorio

di Nicola Forlani

Tra crisi finanziaria internazionale e propositi virtuosi nel settore della tutela ambientale, l'Europa dei 27 sta fornendo prova di superbo dinamismo intergovernativo.

Nel decennale confronto tra federalisti e funzionalisti, tra i fautori dello stato federale e i sostenitori del modello integrazionista comunitario, l'approccio gollista all'Europa sta sbaragliando il campo, imponendosi al centro della scena politica.

Si assumono misure nazionali concordate nel G 15, in questo si è ridotto l'eurogruppo, poiché non ha alcuna competenza in campo di politica economica europea.

Il pubblico televisivo è ormai diventato avvezzo alla solita scenetta televisiva che accomuna, non si sa proprio perché, un piccolo uomo di stato che rivendica senza indugio l'Europa delle patrie con l'insofferente valletto di corte che risiede al Berlaymont.

Presto la presidenza di turno passerà al premier ceco. Un politico che ha almeno il pregio di non dissimulare certo le sue tiepide, per non dir fredde propensioni europeistiche.

Eppure, ancora per qualche mese, imperverseranno i paladini del coordinamento delle politiche, nazionali. Da illusionisti non mancheranno di tirar fuori dal cilindro altra paccottiglia di proposte rigidamente, nazionali. Il tutto avverrà nell'attesa della creazione di fondi sovrani, nazionali, che dovranno consentire una ritrovata capacità di influenza, ovviamente e pervicacemente, nazionale.

Intanto, stanno ruminando e trasformando nel suo esatto opposto anche concetti di apparente, quando evidente effimero buon senso nella fase di deriva intergovernativa che stiamo attraversando, come quello del governo europeo.

Il direttorio alla Sarko rivenduto, nel dibattito parlamentare, per il governo europeo che mancherebbe. Occorre una bella faccia tosta per sostenere la proposta. Non di meno merita una bella faccia da schiaffi chi cade, imprudentemente, nell'inganno.

Sono pronti a sostenere qualsiasi forma di nazionalismo, fin anche un siffatto approccio nel contrasto alla pinguedine, opponendosi, senza timore del ridicolo, all'unica forma di nazionalismo che non esiste e che mai potrà esistere, quello europeo.

Impavidi continuano ad alimentare il grande equivoco, quell'informe blob gelatinoso, dove scienza e coscienza scendono a patti con l'ignominia.

Così come fatto negli anni orribili della pseudo costituzionalizzazione dei trattati, costoro vogliono continuare a prenderci per il naso, lasciandoci credere che sia possibile avere una costituzione senza stato, così come possa esistere un governo senza competenze, una politica economica senza risorse, una politica estera senza esercito, una politica energetica senza approvvigionamenti strategici.

Nell'introduzione di "l'Unione europea, una storia non ufficiale" (1) Riccardo Perissich scrive: Quello che manca non è tanto la volontà di accordarsi sugli obiettivi, quanto la disponibilità a consentire deleghe di sovranità indispensabili per tradurre in pratica le decisioni prese.

Si allargherà quindi quella distanza tra gli annunci e le realizzazioni che è la principale ragione della disaffezione dell'opinione pubblica. E' diffusa l'opinione che l'Europa possa essere governata da un direttorio di paesi importanti. E' una strada senza uscita; quando le domande di ammissione al direttorio saranno state esaminate, esso sarà talmente pletorico da dimostrarsi totalmente inefficace."

Perissich aggiunge: "La chiave del processo ideato da Monnet era il gradualismo, sia nelle realizzazioni, sia nei trasferimenti di sovranità. I federalisti hanno sempre contestato la possibilità di applicare questo metodo anche all'unione politica.

Nonostante la convinzione che il gradualismo fosse condannato a incontrare i suoi limiti, ho sempre sperato di essere smentito; a lungo così è stato, ma oggi non riesco a vedere come si possa avviare un'unione politica senza una svolta radicale.

Essa non può essere il prodotto delle strutture attuali, né, realisticamente, coinvolgere la totalità dei paesi. Perché una simile iniziativa sia credibile, sarebbe necessario riprodurre gli elementi fondamentali della proposta Schuman che, nel 1950, diede inizio all'avventura: una visione chiara, l'indicazione dei passi da intraprendere, strutture politiche e amministrative capaci di dare agli impegni assunti concretezza e continuità".

Campoleone, 22 ottobre 2009

(1) Longanesi, 2008, Milano

In vista del congresso unitario

di Nicola Forlani

In occasione dei lavori del comitato centrate del 15 e 16 novembre, si è assistito a un sereno e proficuo confronto tanto sul piano dell'analisi politica che su quello più squisitamente organizzativo.

Anche per il tramite di votazioni, l'assemblea ha assunto decisioni e orientamenti su una serie di questioni che hanno una stretta attinenza con la celebrazione del prossimo congresso nazionale MFE, previsto a Catania nei giorni 27, 28 e 29 marzo 2009.

Il presidente Guido Montani ha presentato due proposte di modifica al regolamento di attuazione dello statuto. La prima, relativa all'elezione dei delegati in occasione delle assemblee precongressuali, è stata accolta (proporzionale puro sulla base di mozioni contrapposte).

I membri del comitato centrale hanno invece espresso il loro parere contrario a una possibile regolamentazione dell'art.1 dello statuto (rispetto delle decisioni assunte in sede congressuale qualora, nel congresso stesso, si esprimano posizioni maggioritarie e minoritarie).

Per quanto concerne le proposte di modifiche dello statuto da sottoporre al prossimo congresso, il comitato centrale ha manifestato un orientamento sostanzialmente negativo. In particolare, sulla norma che prevedeva un massimo di tre mandati per le cariche di Presidente e Segretario, un nutrito gruppo di militanti si è astenuto al momento della votazione, rilevando i limiti della meccanicità della procedura, ma evidenziando, al contempo, la sostanziale bontà dell'obiettivo che con essa si vorrebbe raggiungere.

Il prossimo 24 gennaio si terrà a Milano la riunione della direzione nazionale. Il 21 e 22 febbraio ci attendono i lavori della conferenza organizzativa di Lugo di Romagna. La strada che conduce a un Congresso unitario non è facile da percorrere, ma i militanti non si faranno certo spaventare dalle asperità che occorrerà superare. In fondo al tunnel già s'intravedono i primi bagliori di luce, occorre seguirli con fiducia.

La linea generale del MFE potrà essere sviluppata su tre piani: il primo teorico (un livello di astrazione in cui si coltivano le finalità proprie del federalismo); il secondo politico (un livello del presente dove confrontarsi con i problemi economici e sociali attuali); il terzo strategico (punto nodale sul quale attivare la pressione e sul quale e possibile ottenere dei risultati). Tra il secondo e il terzo livello spesso si sono collocate azioni a livello tattico (le unilaterali per l'elezione diretta dei membri del Parlamento europeo né sono un esempio) che possono integrarsi, senza soluzione di continuità, con la proposta strategica (mandato costituente a un'assemblea ad hoc).

Chi vuole l'unità del Movimento non è disponibile a dividersi sul piano teorico.

Le differenze sono connaturare al profilo stesso del livello teorico del confronto. Una maggiore o minore accentuazione sulle questioni del mondialismo e le considerazioni, non sempre coincidenti, sul modello di stato federale non possono costituire il crinale lungo il quale alimentare la frattura dell'organizzazione. Tali aspetti possono, anzi devono, sostenere il dibattito attraverso l'individuazione di modelli idealtipici all'interno del quale sviluppare linguaggi e contenuti realmente comuni.

Chi vuole l'unità del Movimento non è disponibile a dividersi sul piano politico.

Le attività a dimensione nazionale e sovranazionale del MFE, quanto quelle dei centri regionali e delle sezioni a livello locale, sono state sempre sviluppate all'interno di una prospettiva contingente. L'autonomia politico/organizzativa non ha rappresentato una scorciatoia verso l'alienazione, anzi.

E' possibile essere nell'attualità - in tutti i livelli di conteso, mondiale, europeo, nazionale e locale - proprio e perché il pensiero politico federalista non è una proposta tra le tante, ma un argine al conformismo di chi, vivendo nel presente è incapace di pensare alla realtà quale espressione di una volontà raziocinante che sappia prefigurare il futuro.

Chi vuole l'unità del Movimento non è disponibile a dividersi sul piano strategico.

Come fatto anche nel recente passato è possibile individuare due piani d'intervento coincidenti eppur non sovrapponibili, che si alimentano a vicenda.

Occorre definire alcuni elementi tattici all'interno del dibattito e delle proposte che guardano al processo di integrazione e costituzionalizzazione dell'Unione. Una loro possibile rappresentazione è fornita dal sostegno agli strumenti di governo dell'economia che facciano perno sulla leva monetaria: Union Bonds, fondo comune anti crisi, bilancio con imposte sovranazionali, piano di investimenti e di sviluppo europei. La moneta unica rimane, a tutt'oggi, l'unico elemento prefederale che possa attribuire all'Unione un ruolo di potenza civile a livello mondiale.

Possono altresì essere sviluppati elementi a carattere strategico a partire da quei paesi che rappresentano il punto di discrimine per un effettivo rilancio dello spirito fondatore del progetto europeo: Francia, Germania, Italia. In questo caso, l'opzione deve puntare a ottenere il consenso (tanto a livello governativo che popolare) alla convocazione di una Costituente europea espressamente finalizzata alla fondazione della federazione europea.

Chi vuole 'unità del Movimento non è disponibile a dividersi sull'interpretazione delle mozioni.

La mozione politica approvata al Congresso UEF di Parigi già contiene sia il criterio di distinzione tra elementi tattici e strategici, che un primo abbozzo del loro contenuto politico. Occorre procedere con caparbietà su questa strada. Essersi uniti a Parigi per poi ridividersi a Catania non darebbe certo lustro alla storia e alle ambizioni della nostra organizzazione.

Chi vuole l'unità del movimento non è disponibile a dividersi nell'azione.

E' probabile che nel luglio 2009 si tenga in Italia il terzo degli appuntamenti del neonato G20: quale migliore occasione per lanciare, sulla scia delle attività della campagna elettorale per il rinnovo del parlamento europeo, un controvertice di tutta la forza federalista europea dove mobilitare sia i protagonisti della politica, dell'economia e della cultura, attraverso l'organizzazione di incontri e dibattiti, che cittadini europei, radunandoli in una grandiosa manifestazione popolare.

E' giunta l'ora di tornare a lavorare tutti insieme, richiamando a una militanza partecipata anche gli amici che non frequentano più abitualmente la vita istituzionale del Movimento. L'obiettivo è alla nostra portata. Tutto dipenderà dalla forza e dalla determinazione con cui sapremo perseguirlo.

Campoleoene, 20 novembre 2008

Dibattito di Firenze

di Nicola Forlani

Domani, a Firenze, avremo una nuova opportunità per discutere, serenamente e pacatamente, tra militanti federalisti. L'idea è nata a Bologna nella primavera 2007. Ha poi avuto sviluppi e si è andata sempre più consolidando in occasione dei successivi incontri di Pisa e Roma. La formula è semplice quanto efficace.

Il dibattito avviene tra pari, indipendentemente dalle proprie attitudini personali, con brevi contributi introduttivi. I temi sono sviluppati con un approccio di largo respiro proprio ed in quanto su di essi non si rileva alcuna necessità di assumere degli orientamenti di azione politica.

I contributi (introduzioni ed interventi) provengono, oltre che da militanti presenti nelle due liste dell'ultimo congresso, da amici che intendono rientrare a pieno titolo nella vita del Movimento e rinnovare così il proprio impegno nella battaglia per la federazione europea.

Tanti militanti stanno strenuamente perseguendo l'obiettivo dell'unità dell'organizzazione. Già un bel pezzo di strada è stata percorsa. Non è certo un caso se al Congresso UEF di Parigi sono stati raccolti i primi frutti.

La mozione politica presentata da Guido Montani ha trovato, dopo un serrato dibattito e alcune modifiche in corso d'opera, il consenso di tutti i 33 membri della delegazione italiana e, con esso, l'adesione di tutto il congresso. La mozione richiede, tra l'altro, al Parlamento europeo e ai paesi che lo vogliono di proseguire da soli sulla strada della Federazione europea attraverso la convocazione di un'Assemblea/Convenzione costituente.

Solo un MFE unito, all'interno del quale possono determinarsi anche posizioni di avanguardia sviluppate quali articolazioni della campagna generale dell'UEF, può svolgere un ruolo di leadership in ambito europeo: indispensabile premessa perchè qualsiasi azione possa conseguire un reale obiettivo di natura politica.

Il lodo su cui costruire il percorso che, unitariamente, possa condurci al congresso nazionale della prossima primavera è stato già stato ampiamente abbozzato. Ora sta alle persone di buona volontà percorrere la strada giusta; e lo sarà.

Campoleoene, 24 ottobre 2008

Damnatio memoriae

di Nicola Forlani

Il 20 ottobre 2008 si è spento, alla veneranda età di 98 anni, Vittorio Foa. Tra i numerosi commenti di quei giorni uno rappresenta, meglio di tutti gli altri, la decadenza dei tempi, l'oblio della memoria e l'ingratitudine del paese: «Uomo di sinistra, ma che non fu mai comunista».

Con questa semplice, quanto apparente innocua affermazione si sostiene l'idea che la sinistra storica italiana, e non solo, sia stata sostanzialmente di ispirazione leninista, con poche anime belle che siano riuscite a contenere la subdola influenza del partito comunista.

Il contributo nella lotta antifascista prima e nell'edificazione dei valori e dei principi repubblicani poi furono oggetto dell'impegno di tanti italiani che si riconobbero nei principi e nei valori del Movimento Giustizia e Libertà.

Carlo Rosselli fu leader e animatore del gruppo prima di essere ucciso, il 9 giugno del 1937, insieme al fratello Nello a Bagnoles-de-l'Orne, luogo di soggiorno termale della bassa Normandia, da miliziani di una formazione eversiva della destra francese. Il delitto avvenne su mandato dei servizi segreti fascisti guidati da Galeazzo Ciano.

Nel 1929, con ispiratore del gruppo Gaetano Salvemini, a Parigi nasce il Movimento rivoluzionario e insurrezionale in grado di riunire tutte le formazioni non comuniste che intendevano combattere e porre fine al regime fasciata.

Sotto gli ideali del risorgimento si riuniscono, socialisti, repubblicani e democratici. Contrasteranno la propaganda di regime durante il ventennio; combatteranno con i repubblicani nella guerra civile spagnola; parteciperanno alla resistenza con bande partigiane gielliste, secondo solo a quelle garibaldine riconducibili al Partito comunista, per fondare poi, nel 1943, il Partito d'Azione.

Vittorio Foa aderisce al Movimento Giustizia e Libertà giovanissimo. E' arrestato a Torino nel 1935 e condannato dal tribunale speciale fascista a 15 anni di reclusione. Nel 1943, da poco libero dalle galere fasciate, partecipa alla nascita del Movimento Federalista Europeo presso l'abitazione milanese di Mario ed Alberto Rollier.

Da pagina 171 della biografia di Piero Graglia ad Altiero: «Vittorio Foa, appena liberato dal carcere e partecipante alla riunione federalista, vi era stato trascinato con amichevole fermezza da Leone Ginzburg: «rivedrai Ernesto Rossi, conoscerai [Franco] Venturi e Altiero Spinelli, ne vale la pena». Una sfacchinata per il giovane Foa, ancora sofferente per la lunga detenzione a Castelfranco Emilia:

Alla riunione di Milano non riuscii a capire nulla. Dai verbali risulta che parlavano alto, sui principi da riaffermare e servire con l'azione, ma io sentivo solo stanchezza e fame. A mezzogiorno portarono un sobrio spuntino: in ogni piatto c'erano due belle sardine fritte e una fetta di pane. Mangiai subito la polpa dei due pesci e poi mangia le code, le teste e infine anche le lische. Quando Leone passò con un piatto per le teste e lische vide il mio piatto vuoto, capì e rise. E risero anche gli altri. (1)

Sempre Foa non ricorda, stranamente, la presenza di Colorni a Milano, e il suo giudizio è, a distanza di anni, scettico sul peso effettivo del federalismo sul movimento resistenziale:

La memoria di quella riunione federalista a Milano mi pone delle domande: quali erano le radici di discorsi alti di quel convegno, la lotta contro militarismo, nazionalismo, dispotismo, guerra? Erano nelle vicende degli anni Venti e Trenta, cioè nella presenza fascista oppure bisognava risalire nel tempo? E, su un piano personale, che significato aveva per me un così alto dibattito? E infine, che influenza ha avuto il movimento federalista sul partito d'azione? (1)»

Dopo la FIOM, nel 1949, Foa entrò nella segreteria nazionale della CGIL accanto a Giuseppe di Vittorio. Nel 1964 fu dirigente del PSIUP. Dal 1969 collaboro con il Manifesto. In seguito entrò in Democrazia Proletaria, per poi ritirarsi all'insegnamento con una cattedra di Storia contemporanea sino a quando, nel 1987 fu eletto senatore come indipendente nella lista del PCI.

In una sua intervista per Il Messaggero dell'agosto 2006 dichiara: «Sarebbe ora di finirla con questa damnatio memoriae per cui la storia del Novecento ruota intorno ai comunisti, agli ex comunisti e ai comunisti o filocomunisti pentiti. C'è una grande storia che è stata rimossa: quella degli antitotalitari democratici e liberali - anticomunisti e antifascisti - che non hanno avuto bisogno di rivelazioni tardive, di omissioni generalizzate e di compiacenti assoluzioni».

Di questa grande storia rimossa fanno parte, a pieno titolo, i federalisti europei. Sta a noi, con orgoglio e senza timore dello scandalo, rinnovare gli ideali in propositi, i valori in precisi obiettivi politici.

Campoleoene, 28 ottobre 2008

(1) Vittorio Foa, Il cavallo e la torre, Torino, Einaudi, 1991, p.129, 130

Europa e stati totalitari

Campoleoene, 13 novembre 2007

Il concetto di Europa, luogo geografico e politico, è utilizzato da tutti coloro che possiamo, a rigor di logica, definire europeisti. Mais transgenico? Un problema europeo. Precariato salariale? Un problema europeo.

Incendi estivi? Un problema europeo. Subcultura calcistica ed ordine pubblico? Un problema europeo. Papà ha perso l’aereo? Ovviamente, anche in questo caso, il problema non può che essere europeo. Una prospettiva nella quale l’Europa è svilita alla funzione di cacio sui maccheroni, buona con qualsiasi minestra e per ogni sugo.

Discettare su questioni pseudo politiche che si collocano al di fuori del quadro teorico e culturale del federalismo militante è, quasi sempre, un esercizio sterile e fine a se stesso. Nella peggiore delle ipotesi si rischia di dire castronerie, nella migliore di rimestar acqua nel mortaio.

Prendiamo ad esempio la visione, tutta europeista, dell’Europa come risposta storica al nazifascismo. Apparentemente sembrerebbe un’affermazione animata dal più comune buon senso. Se invece è letta attraverso i principi teorici del federalismo autonomista ci appare in tutta la sua parzialità e contraddittorietà.

Il federalismo, nella sua dimensione politica e affatto utopistica - così come definito nel Manifesto di Ventotene - è la risposta alla crisi degli stati nazionali. Più precisamente, è un progetto di azione finalizzato alla creazione dell’unione politica del vecchio continente su basi statuali e federali quale unico possibile antidoto alla crisi della civiltà moderna: il nazionalismo disconosce il principio di libertà secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita.

Tanto l’ideologia liberale quanto quella socialista sono fallaci proprio ed in quanto negatrici, nelle loro rappresentazioni nazionali, dei diritti di libertà dell’individuo. Il prodotto storico della convivenza umana, sia esso in una visione conservatrice che progressista, resta sempre ed in ogni caso la nazione.

In tale prospettiva tanto il nazifascismo (nazionalsocialismo tedesco e fascismo italiano) quanto il marxismo leninismo prima e lo stalinismo poi (ambedue espressioni reali dell’ideologia comunista) rappresentano la degenerazione totalitarista della visione ideologica nazionale. Pur proclamando diritti sociali, economici e politici, tali regimi, nei fatti, ledono i fondamentali diritti di libertà. Il totalitarismo, sia fascista che comunista, è espressione estrema del nazionalismo.

Lo dice chiaramente il Manifesto: “Un’Europa libera ed unità è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto”. Inoltre nelle Tesi politiche uscite dalla riunione milanese dell’agosto 1943 (atto di fondazione del Movimento) si legge: “Indipendenza nazionale, libertà, socialismo saranno vitali e benefiche solo se avranno come premessa – e non semplicemente come conseguenza – la federazione, vale a dire un ordinamento politico che garantisca la pace e la giustizia internazionale”.

Il federalismo militante (pensiero ed azione) nasce durante la lotta di liberazione e si qualifica come componente essenziale della resistenza europea. Ma come ha chiarito Noberto Bobbio non è né la risposta al nazifascismo né, tanto meno, guerra per un nuovo assetto sociale, ma una visione politica che deve inventare il futuro (1).

E’ quindi evidente come, in una prospettiva più organicamente federalista, il concetto di Europa non può che essere considerato quale risposta alla crisi dello stato nazionale, sia esso democratico/liberale che trasfigurato nelle sue rappresentazioni totalitarie (la distinzione in fasciste o comuniste è cosa rilevante sole ed in quanto intimamente commisurabili).

Campoleone, 13 novembre 2007

(1) Noberto Bobbio, Il Federalismo nel dibattito politico e culturale della resistenza, in Manifesto di Ventotene, Il Mulino, 1991.
"I motivi ispiratori della resistenza europea si possono disporre su tre livelli: secondo che si consideri come guerra contro il fascismo, e in genere contro il dispotismo in nome della democrazia, come guerra per un nuovo assetto sociale contro ogni forma di restaurazione dell’antico regime. L’ideale federalistico si pone su questo terzo livello: la resistenza che deve insieme chiudere e aprire, distruggere per costruire, essere negazione non in senso formale ma in senso dialettico. Che non deve limitarsi a vincere il presente ma deve inventare il futuro. Il federalismo fu, ed è tuttora, una di queste invenzioni storiche. Per questo è legato a quel momento creativo della storia che fu la resistenza europea.”

Nicola Forlani

Ziller: innovazioni nel TdL

Campoleone, 14 dicembre 2007

In occasione della presentazione del suo libro “Il nuovo Trattato europeo”, edito da “Il Mulino” (Agenzia della stampa estera, 13/12/07, Roma) Jacques Ziller ha messo in evidenza come nel Trattato di Lisbona esistano anche delle clausole evolutive rispetto a quanto già previsto dal Trattato costituzionale.

L’innovazione del 2007 consiste nell’inserimento dell’Unione economica e monetaria (Uem) con l’euro, tra gli obiettivi dell’Unione (art. 3 Tue modificato, ex art. I-3 del Trattato costituzionale). La questione non è solo simbolica, anzi. D’ora in poi per l’Uem e l’euro sarà possibile utilizzare, se necessario, la cosiddetta clausola di flessibilità per colmare le lacune dei trattati che dovessero emergere nel settore (art. 308 del trattato Ce modificato).

Ziller ha concluso sottolineando come la novità rispetto al Trattato costituzionale abbia una rilevanza non solo giuridica. Potrebbe essere il segno di un rinnovato clima politico, oltre che una decisa presa di posizione a difesa della moneta unica.

All’incontro, promosso dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea, sono intervenuti anche Piero Fassino, Giuliano Amato e Franco Frattini. Tutti e tra hanno fornito spunti e valutazioni di un certo interesse su cui spero di poter ritornare quanto prima.

Nicola Forlani

Fassino Multilaterale

Campoleoene, 9 novembre 2007

“Chiunque sia uno specialista è, a rigor di termini, un idiota” – George
Bernard Shaw, Il manuale del rivoluzionario, da Uomo a superuomo

Al traghettatore dei Democratici di sinistra occorre trovare una nuova collocazione. Non è più segretario per estinzione del partito. Non può aspirare ad un Ministero da rimpasto stante la perseveranza con cui Prodi tiene dritta la barra delle governabilità. Non sono in vista elezioni amministrative che potrebbero garantirgli un remunerativo (politicamente, si intende) incarico da Sindaco o Presidente di Regione.

La presidenza e le vicepresidenze della Camera dei deputati sono già stabilmente occupate. La stessa cosa si dica per le pur sempre prestigiose commissioni parlamentari. Si aggiunga, infine, che il vice-presidente, Franco Frattini, non sembra intenzionato certo a lasciar spazio e poltrona. Voci di corridoio confidano che all’apertura di ogni seduta della Commissione egli reciti stentoreo: hic manebimus optime!

E’ pur vero che ultimamente il segretario dei DS ci aveva un po’deluso. Aveva promesso valanghe di firme apposte sulla petizione referendaria. Non si è visto alcun effetto, tanto meno valanga, in seguito alla solerte quanto tardiva adesione alla campagna. A sua parziale giustificazione si potrebbe evidenziare che la costituzione era defunta una paio d’anni prima ad opera del prode Chirac e che la peregrina idea della convocazione di un referendum paneuropeo appartenesse al mondo incantato delle fiabe. Avrà sbagliato, certo, ma tutti possiamo aspirare al perdono, tanto più se in ballo c’è il futuro professionale di un galantuomo. Ed allora, che fare?

A pensarci bene una soluzione ci sarebbe! La buona, cara e vecchia Europa può venirci in soccorso. Solo lei potrà aiutarci a trovar soluzione al rebus occupazionale di Piero. Il problema è presto risolto. Un bel posto da inviato speciale in Birmania per l’Alto rappresentante Ue per la politica estera è proprio quello che ci vuole.

Ciò che non è comprensibile è perché infierire con un contratto a progetto sulle aspirazioni professionali del neo assunto. Una delega di competenza generalista, da inviato e basta, non condita dall’appellativo di speciale, non avrebbe comportato pericolo di sorta. E’ notorio che il delegante, Javier Solana, conta quanto un tre di briscola sulla scena politica internazionale. La qualificazione di speciale (per una singola e particolare questione o affare), si sarebbe più acconciamente potuta evitare. Ma in fin dei conti “è uguaglio”. Chi vuoi che ci faccia caso. Anzi, perché non chiamarlo un inviato “molto” speciale … “Punto... due punti! Ma sì, fai
vedere che abbondiamo, adbondandis adbondandum”.

Nicola Forlani

Yankee, go home!

di Nicola Forlani

La guerra va incontro a tutte le esigenze, anche quelle pacifiche. Bertolt Brecht, Madre Courage e i suoi figli

In una fase cruciale nel complesso panorama delle relazioni internazionali, in cui si afferma, per assoluta necessità e pertinenza, la proposta della costituzione di una solida federazione europea, dotata di tutti gli attributi necessari che la rendano capace di essere un attore globale nel settore della politica estera e di difesa, nessun documento o qualsiasi voglia considerazione che abbia un minimo di costrutto logico (nota, circolare, comunicato stampa, articolo, lettera ai militanti, telegramma, ecc.) è stata assunta dai dirigenti del Movimento in nome e per conto degli associati, e fatta circolare sugli opportuni canali.

Ci troviamo di fronte ad una colpevole latitanza - il dolo non vogliamo nemmeno prenderlo in esame - che si commenta da sola, senza alcun bisogno di aggiungere altre considerazioni.

Quanto alle mie opinioni, credo siano note e di non particolare rilievo. Da militante federalista sono convinto che gran parte del mio pensiero appartenga ad un patrimonio di analisi e di proposte collettive che non necessita di essere pedissequamente riproposto in ogni sede.

Campoleone, 20 agosto 2008

Umiliati i liberisti e gli antistatalisti

di Nicola Forlani

Crisi finanziaria. I fondi mutualistici Usa trascino giù borse ed imprese di tutto il mondo. Osservatori sprovveduti sostengono che gli americani hanno abdicato al loro ruolo egemone e che sono ormai incapaci di esercitare un ruolo di governo nell’economia globale.

Antistatalisti di destra confidano nel ruolo salvifico del mercato. Antistatalisti di sinistra guardano con malcelata soddisfazione alla fine dell’impero a stelle e strisce.

A nulla sono servite le potenti iniezioni di liquidità operate dalle banche centrali. E stato sufficiente che Il vecchio, esausto ed ormai impotente stato americano annunciasse un intervento senza precedenti, per ridare fiducia ai mercati, con effetti dirompenti ed inaspettati in tutto il pianeta.

Il lancio di un piano che potrebbe arrivare a valere dieci volte quello Marshall ha consentito anche alla borsa di Mosca di riaprire i battenti, dopo due giorni di chiusura per eccessi di ribassi.

I liberisti sono stati umiliati dal primato della politica. Il ruolo sovrano dello stato si sono ripreso la rivincita sulla fantapolitica di chi sostiene un nuovo ordine economico fondato su una democrazia cosmopolita affidata alle logiche tecnocratiche degli organismi economici mondiali.

E se dovesse toccare agli europei? In assenza di un’autorità statale (la federazione europea) in grado di garantire la solvibilità del debito pubblico, i politici del vecchio continente sarebbero del tutto impotenti, ma sicuramente pronti, senza timore di sfidare il ridicolo, a chiedere servilmente aiuto allo zio d’America.

Campoleone, 19 settembre 2008

sabato 13 dicembre 2008

Referendum ed Unione europea

Campoleone, 16 febbraio 2007

PREMESSSA

In occasione del convegno svoltosi presso l’Istituto universitario europeo di Firenze il 9 febbraio scorso, è stata rilanciata la proposta di un referendum consultivo per la ratifica del Trattato costituzionale (TCE) emendato da indirsi in concomitanza con le elezioni europee del 2009.

In generale il referendum è considerato sia quale istituto perfetto di democrazia diretta quanto pericoloso strumento a rischio di manipolazioni (1). Inoltre, può trovare applicazione sia nei processi di innovazione costituzionale e legislativa(2) o, in alternativa, essere utilizzato a presidio della conservazione dell’ordinamento dello stato(3). Questioni di assoluta rilevanza ma che non sono trattate in tale sede.

COME INTRODURRE IL REFERENDUM EUROPEO

A livello europeo l’istituto referendario non è contemplato nei trattati vigenti TUE. Per poterne prevedere l’introduzione si possono avanzare due macro ipotesi potenzialmente percorribili precedute da tre considerazioni pregiudiziali.

1) Qualsiasi ipotesi di referendum europeo deve trovare una sua precisa base giuridica. L’eventuale natura consultiva non riduce certo la necessità di individuare e/o introdurre norme cogenti nell’ordinamento comunitario.

2) La seconda considerazione pregiudiziale esclude la possibilità di utilizzare lo strumento delle cooperazioni rafforzate per l’introduzione dell’istituto referendario in quanto in contrasto con qualsiasi atto che non rispetti le basi giuridiche dell’Unione o in ogni caso contrario al diritto comunitario art. 43 TUE, par. b (4).

3) Terza ed ultima considerazione è quella sulla auspicata natura consultiva(5)in evidente contrasto con l’introduzione dell’istituto a conclusione del processo di revisione dei trattati ed in stretto rapporto con l’adozione degli stessi. I referendum consultivi si caratterizzano per essere uno strumento ex-ante ben poco compatibile con l’espressione di una volontà ex-post che non può che essere di tipo confermativo. Non è un caso che, dove previsti, i referendum in tema di adozione di trattati e di modifiche costituzionali sono a carattere confermativo. Invece i consultivi, così come quello previsto per la ristrutturazione del territorio federale dei Länder(6)o per la fusione e creazione di nuove Regioni nel territorio italiano (7), tendono a raccogliere il consenso dei cittadini all’avvio di un processo politico e su una o più opzioni di proposta legislativa.

PRIMA IPOTESI – CONFERENZA INTERGOVERNATIVA

La prima ipotesi vuole seguire la procedura intergovernativa a suo tempo avveratasi per l’introduzione delle elezioni a suffragio universale diretto al Parlamento europeo (8). La procedura di modifica dei trattati, che trova applicazione nell’art. 48 TUE, prevede la proposta di modifica per iniziativa di uno stato membro o alla Commissione e la convocazione, da parte del Consiglio, di una Conferenza intergovernativa (Cig). Gli emendamenti prendono di regola il nome di trattato o atto ed entrano in vigore dopo essere stati ratificati da tutti gli stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.

L’attualità politica sembrerebbe sconsigliare tale strada. Siamo al culmine di un’acuta fase di crisi comunitaria aperta proprio dall’esito negativo del referendum confermativo sulla ratifica TCE svoltosi in Francia nel maggio 2005. In realtà, a ben guardare, uno spiraglio potrebbe aprirsi proprio in occasione dell’eventuale apertura di una nuova Cig che dovrebbe portare all’elaborazione di un nuovo progetto di trattato. Il Consiglio europeo del prossimo 21 e 22 giugno 2007 potrebbe decidere non solo la convocazione di una nuova Cig ma anche il relativo mandato negoziale che, con buona probabilità, sarà tanto più ristretto, quanto più si voglia salvare la sostanza innovativa del TCE. In questa sede i capi di stato e di governo potrebbero invitare la Cig a definire le modalità di introduzione dello strumento referendario.

In tale prospettiva l’attuale art. IV-447 TCE relativo alla ratifica e entrata in vigore del trattato potrebbe contenere un emendamento che reciti: il presente trattato entrerà in vigore successivamente alla celebrazione di un referendum confermativo al cui voto saranno chiamati tutti i cittadini europei degli Stati membri che abbiano provveduto a depositare gli strumenti di ratifica. Una tale formulazione non potrebbe in ogni caso derogare alle disposizioni costituzionali nazionali di ratifica in tema di trattati. In tal caso qualsiasi delega di sovranità sarebbe incostituzionale (9). Quindi la ratifica andrebbe in capo alle procedure degli ordinamenti costituzionali nazionali, mentre l’entrata in vigore sarebbe subordinata al consenso della maggioranza dei cittadini degli stati membri che hanno ratificato.

La base giuridica sarebbe così definita ma con l’evidente risultato di aver complicato a dismisura il processo di adozione delle nuove norme, e più precisamente.

1) In almeno due stati membri Irlanda e Danimarca (e forse in Francia, Spagna e negli altri Stati membri che volessero utilizzare od introdurre all’uopo un referendum di ratifica) si svolgerebbero almeno due referendum: uno nazionale di ratifica ed uno europeo per la successiva entrata in vigore.

2) Inoltre, qualora avessimo raggiunto o la totalità delle ratifiche nazionali o il quorum per l’entrata in vigore così come ad esempio previsto per la Legge fondamentale tedesca (10), novità probabilmente ben più importante dell’introduzione del referendum stesso, avremmo, di fatto, raggiunto l’obiettivo politico dell’adozione dell’atto. A quale scopo introdurre un ulteriore passaggio ex-post di natura referendaria? Il comune buon senso vorrebbe che fosse decisamente evitato.

3) D’altro canto far precedere il deposito degli strumenti nazionali di ratifica da un referendum europeo sarebbe cosa quantomeno originale in quanto non potrebbe impegnare preventivamente la libera volontà delle assemblee o dei cittadini degli stati membri. Anzi si rischierebbe di aprire un conflitto tra due distinte volontà popolari, quella nazionale e quella europea.


SECONDA IPOTESI – REFERENUM NAZIONALI CONCOMITANTI

Questa seconda ipotesi trova conforto in una sorta di dichiarazione solenne in cui i 27 capi di stato e di governo si impegnino unanimemente alla ratifica nazionale per via referendaria da tenersi in occasione delle elezioni del 2009. In pratica ci troveremmo di fronte a 27 referendum consultivi nazionali che, per il sol fatto di tenersi nello stesso giorno, trasformerebbero la ratifica da nazionale in europea. Orbene, per procedere alla ratifica referendaria, la stragrande maggioranza degli Stati membri dovrebbe introdurre nuove norme legislative nei propri ordinamenti nazionali. Alcuni potrebbero aderire all’ipotesi del referendum europeo ed altri no, andando così a depotenziare fortemente la valenza politica dell’istituto. Vediamo il caso dell’Italia, della Germania e della Francia.

IL CASO ITALIANO
L’Italia dovrebbe prevedere norme di rango costituzionale così come fatto per il referendum consultivo sul potere costituente al Parlamento europeo, svoltosi nel 1989 (Legge cost. 1/89). In questo caso però l’istituto referendario non sarebbe più occasionale, come per l’89, ma potrebbe prevedere una modifica permanente della costituzione italiana in tema di ratifica dei trattati internazionali e l’introduzione di un articolo europeo sul modello della costituzione, francese, tedesca.
Attualmente la questione è disciplinata implicitamente dall’art. 11 sulle limitazioni di sovranità per i trattati finalizzati a salvaguardare la pace, ed esplicitamente con l’art. 80, che dispone l’autorizzazione parlamentare alla ratifica e dall’art. 87 sui poteri del Presidente della Repubblica. Per completezza è opportuno ricordare che l’art. 75 non ammette il referendum abrogativo sui trattati internazionali stessi, articolo, che, nell’ipotesi di modifica, dovrebbe contenere un nuovo comma sul referendum confermativo.

Ovviante il nostro paese, per poter procedere alla ratifica per via referendaria in occasione delle elezioni europee della primavera del 2009, dovrebbe adottare la nuova norma costituzionale entro la fine del 2008. La relativa proposta di legge costituzionale dovrebbe essere presentata al
massimo per settembre del 2007, sperando che in 12/16 mesi sia possibile concluderne l’iter legislativo, stante la doppia lettura successiva a distanza non minore di 3 mesi (art. 138). Va da se che a questo punto la dichiarazione solenne dei 27 capi di stato e di governo, che si impegnano
alla contemporanea ratifica referendaria, dovrebbe essere sottoscritta al massimo entro la fine del 2007. Da aggiungere, infine, che qualora la legge costituzionale italiana non fosse approvata con la maggioranza dei due terzi, nella seconda votazione, da ciascuna delle Camere, la legge stessa
che introduce il referendum consultivo in tema di trattati internazionali potrebbe essere sottoposta ad un referendum popolare confermativo. In un caso del genere, dando per scontato che gli italiani votino si alla modifica della costituzione, la promulgazione delle nuove disposizioni costituzionali
slitterebbe a non prima del 2010.

IL CASO TEDESCO
La Germania si troverebbe in condizioni del tutto simili a quelle italiane. Le limitazioni di sovranità sono esplicitamente previsti dall’art. 23 (Unione europea) della Legge fondamentale (11). Qui è disciplinata la procedura per l'istituzione dell'Unione Europea, per le modifiche delle norme dei trattati, mediante le quali la Legge fondamentale è modificata o integrata nel suo contenuto. In tali casi trova applicazione l'art. 79 sulla modifica della Legge fondamentale che deve prevedere una legge di revisione costituzionale che necessita dell'approvazione dei due terzi dei membri del Bundestag e dei due terzi dei voti del Bundesrat.
In Germania la ratifica dei trattati segue le procedure legislative ordinarie così come previste dall’art. 59 sulla rappresentanza della federazione. Tanto in materia di ratifica che di modifica della legge fondamentale non è previsto l’istituto referendario che potrebbe essere eventualmente introdotto solo con le procedure ex art. 79 e con specifico emendamento all’art. 23.

IL CASO FRANCESE
Ovviamente la Francia potrebbe indire un nuovo referendum così come previsto dall’art. 11 della Costituzione francese del 4 ottobre 1958 che affida al Presidente della repubblica il potere di sottoporre a referendum i progetti di legge (ordinari) in materia di ratifica di trattati. Non vi è nessun obbligo di indire un referendum ed inoltre il Presidente può procedere su proposta o del governo o congiunta delle due assemblee.

Ma vale la penna notare come la Francia, abbia già modificato il titolo XV della propria Costituzione “Delle comunità e dell’Unione” (artt. da 88-1 a 88.7) con legge costituzionale del 1 marzo 2005 che ha preceduto di pochi mesi la successiva bocciatura del TCE nel referendum costituzionale del 28 maggio 2005 (12). La revisione della Costituzione è sottoposta sempre a referendum tranne nel caso in cui la legge di modifica è adottata con la maggioranza dei 3/5 (art. 89). Tale procedura è normata dall’art. 54 che prevede che qualora il Consiglio costituzionale dichiari che un impegno internazionale contenga clausole contrarie alla Costituzione, l’autorizzazione alla ratifica può intervenire solo dopo revisione della Costituzione stessa. Pertanto l’attuale titolo XV della costituzione francese sarà applicabile solo dopo l’entrata in vigore del TCE stesso (13).

Da rilevare infine che con la modifica del titolo XV è stata introdotta una nuova fattispecie referendaria in tema di trattati. L’art. 88-7 prevede, infatti, che il Presidente della repubblica deve convocare un referendum confermativo quando il trattato da ratificare sia relativo all’adesione di un nuovo Stato all’Unione.

Nicola Forlani

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(1)Giuseppe Renzi, La democrazia diretta, 1995, Adelphi - Antonio Labriola, Contro il referendum, 1998, Datanews)

(2)In Francia ha trovato ampia applicazione. 13 ottobre 1946 referendum sulla Quarta repubblica. 15 ottobre 1958 referendum sulla Quinta repubblica semipresidenziale. 28 ottobre 1962 referendum sull’elezione diretta del Presidente della repubblica .28 aprile 1969 bocciatura referendum costituzionale e dimissioni di De Gaulle.

(3)In Italia l’Assemblea costituente si orientò su questa seconda ipotesi, così come sostenuta da Costantino Mortati.

(4)TUE art. 43, paragrafo b, a condizione che la cooperazione rispetti i suddetti trattati, nonché il quadro giuridico unico dell’Unione. Disposizione restrittiva confermata e meglio chiarita negli art. da III-416 a III-423 del TCE

(5)Sull’attività consultiva. Costantino Mortati, Istituzioni di diritto pubblico I, CEDAM, Padova 1975, pag 260. L’attività consultiva consiste nel fornire agli organi deliberanti elementi valutativi delle circostanze sulle quali si deve fondare la decisione, onde supplire all’eventuale mancanza di sufficienti conoscenze tecniche in ordine ad essere da parte degli organi stessi, o comunque nell’agevolare la formazione della loro convinzione intorno al modo di soddisfare l’interesse pubblico di cui devono aver cura.

(6)Art. 29 – Ristrutturazione del territorio federale - Legge fondamentale per la Repubblica federale di Germania, 23 maggio 1949 - http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/normativa/file/costituzionetedesca.html

(7) Art. 132 – Costituzione della Repubblica italiana - http://www.quirinale.it/costituzione/costituzione.htm

(8) La Conferenza al vertice di Parigi del 9 e 10 dicembre 1974 stabilì che si sarebbero dovute tenere elezioni dirette a partire dal 1978 ed invitò il Parlamento europeo a presentare una proposta in merito. Nel gennaio 1975 il Parlamento approvava un nuovo progetto, sulla base del quale, e dopo aver superato talune divergenze, i capi di Stato e di governo raggiungevano un accordo il 12 e 13 luglio 1976. La decisione e l'Atto relativo alle elezioni europee a suffragio universale diretto furono firmati a Bruxelles il 20 settembre 1976. Dopo la ratifica di tutti gli Stati membri, il testo è entrato in vigore il 1 luglio 1978. Le prime elezioni hanno avuto luogo il 7 e il 10 giugno 1979.

(9)A questo proposito può essere opportuno ricordare l’art. 20 della Legge fondamentale tedesca sui fondamenti dell’ordinamento statale e sul diritto di resistenza che recita al comma 2: Tutto il potere emana dal popolo. Esso è esercitato dal popolo per mezzo di elezioni e di votazioni e per mezzo di organi speciali previsti di potere legislativo, esecutivo, giudiziario. Ed al comma 4: Tutti i tedeschi hanno diritto di resistere a chiunque tenti di rovesciare questo ordinamento, qualora non vi sia altro rimedio possibile.

(10)Art 144 – Ratifica della Legge fondamentale, comma 1 – La presente Legge fondamentale deve essere approvata dalle assemblee rappresentative di almeno due terzi del Länder tedeschi.

(11)Legge fondamentale per la Repubblica federale di Germania, 23 maggio 1949 http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/normativa/file/costituzionetedesca.html

(12)Costituzione del 4 ottobre 1958. Testo che risulta, in ultima analisi, dalle leggi costituzionali del primo marzo 2005 in modifica del titolo XV della Costituzione e relative alla Carta dell’Ambiente. http://www.assemblee-nationale.fr/italiano

(13)L’articolo 88-1 al comma 2 cita espressamente il TCE: (La Repubblica) può partecipare all’Unione europea nelle condizioni previste dal Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa firmato il 29 ottobre 2004.

Intervento al congresso MFE

Campoleoene, 1 marzo 2007

Intevento al Congresso MFE del 2/4 marzo 2007

“Negli ultimi venti anni, i primi a proporre una costituzione europea sono stati coloro che la volavano non per fare l’Europa che mancava, bensì per impedirne il suo completamento o per disfare un preteso eccesso di Europa.”

Citazione da Europa una potenza attiva di Tommaso Padoa Schioppa.


Nel congresso di Firenze del 2003 si è consumata la frattura del movimento sulla base di due contrastanti analisi dell’attuale fase del processo storico, indispensabile premessa per l’elaborazione di un’efficace linea strategica.

La dirigenza di allora, che ancora oggi sopravvive a se stessa, ritiene che esista una sorta di occasione permanente dove le dinamiche sociali ed economiche dell’interdipendenza globale renderanno sempre più favorevole l’obiettivo della Federazione europea. Il ruolo strategico per l’MFE è pertanto quello di accompagnare il processo che tenderà, in ogni caso, ad avanzare.

L’elaborazione proposta da Alternativa Europa, nega la strategia gradualista, e ritiene che qualunque riforma parziale e non statuale sia un inganno che maschera l’involuzione del processo. In questo scenario il salto federale potrà compiersi, in un momento di crisi e grazie ad un’avanguardia rivoluzionaria che avrà preparato il terreno, con un supremo atto di volontà politica che sancirà la cessione della sovranità nazionale.

Nel 2003 molti amici federalisti accolsero la proposta dei dirigenti facendo appello ad una visione più pragmatica delle cose. Ritenevano che ci fossero le condizioni per partecipare e battersi attivamente all’interno della Convenzione di Bruxelles. D’altro canto la strategia di entrata/uscita, così come definita dallo stesso Albertini ci avrebbe consentito, qualora i risultati fossero stati insoddisfacenti, di uscire dal dibattito e denunciare con fermezza le soluzioni confederali che fossero emerse.

Poco prima che la Convezione europea licenziasse il testo dell’ermafrodito trattato costituzionale, alcuni di questi amici, preoccupati per le soluzioni intergovernative e niente affatto federali, pubblicarono un appello che così si concludeva:

“ Il compito della convenzione è quello di indicare con chiarezza la via verso la costituzione dell’Unione federale europea, per l’oggi, non per un futuro indefinito.
Il ruolo dei governi della Francia e della Germania è cruciale e spetta anzitutto a loro, d’intesa con gli altri Paesi fondatori, la responsabilità storica di far compiere all’Unione europea, sul terreno delle istituzioni, il passo decisivo verso il futuro.”

Nessun passo decisivo è stato fatto! Ed i dirigenti del MFE, anche di fronte le palesi ambiguità del testo che andava definendosi, hanno ritenuto che non fosse arrivato il momento né della né denuncia e dell’uscita. Su di loro ricade la responsabilità della progressiva trasformazione del Movimento in una surrettizia organizzazione sempre più protesa verso il collateralismo istituzionalista. Un ruolo dallo spessore impalpabile, quando sia vissuto in maniera permanente, anche per chi, da federalista, si batte all’interno delle istituzioni europee.

La strategia dell’ambiguità sta progressivamente avvitandosi su se stessa tra insufficienze organizzative e pasticciate proposte politiche. Per le prime si vuol porre rimedio con l’introduzione del funzionariato a busta paga. Per le seconde si ripropone il referendum consultivo sull’adozione del nuovo trattato costituzionale.

Dal marzo 2006, data in cui è stata adottata la petizione, ad oggi del milione di firme non né risulta raccolta nemmeno una. Coloro che hanno la responsabilità di così magro bottino dovrebbero risponderne al congresso. Ed invece, incuranti del ridicolo, propongono di risolvere le proprie inefficienze assumendo dei professionisti che realizzarono, per loro conto, l’azione politica del movimento.

Per ritrovare lo slancio e la convinzione dell’opinione pubblica a sostegno del progetto europeo occorrerebbero parole di chiarezza, e soprattutto di verità. Ed invece si disorientano ulteriormente i cittadini, facendogli credere che abbiano un potere che non hanno, il referendum, per decidere su una cosa che non esiste, la costituzione federale.

Di fronte alla inesistenza della base giuridica o di un percorso credibile per la sua adozione, ci si appella alla portata evocativa e all’arma di contrasto politico. Se in Italia per sollecitare una nuova legge elettorale qualcuno pensasse di utilizzare l’arma del referendum abrogativo, quando tale istituto non fosse contemplato dall’ordinamento vigente, più che sulla valenza politica della proposta, in molti, si preoccuperebbero della salute mentale degli incauti promotori.

Il Movimento, non essendo un partito, non ha alcuno ruolo da svolgere nella raccolta del consenso sul compromesso politico. Il Presidente Napolitano, con fierezza, ma evidenziando nel contempo l’insufficienza negoziale del nostro governo, intervenendo al Parlamento europeo ha ricordato gli elementi innovativi, dopo il grande allargamento, del Trattato costituzionale. Tutti noi né conosciamo le intrinseche limitazioni, ma è dovere morale di chi ha responsabilità politiche riuscire a portare a casa quel tanto di novità in esso contenute. In tale prospettiva, gli europeisti e i sinceri federalisti che lavorano nelle istituzioni possono sempre contare sulla convergenza tattica del MFE su obiettivi specifici e concordati.

Il movimento, invece, deve costruire l’alternativa europea alla frammentazione nazionale. Le “Mancanze d’Europa” sono di drammatica attualità. Occorre un’unione politica ed economica fondata sull’integrazione finanziaria, per un’Europa non più oggetto passivo ma soggetto attivo della globalizzazione. E’ improcrastinabile l’esigenza di una politica energetica coerente, sostenuta da una vera politica estera e di sicurezza forte anche degli strumenti militari unitari.

L’alternativa europea al costituzionalismo dottrinale si basa su una scelta limpidamente definita del modello statuale federale che, con ogni probabilità, si concretizzerà in un atto di discontinuità rispetto all’attuale modello di integrazione funzionalista, nella nuova dimensione, ideale, culturale e politica degli Stati Uniti nell’Europa, della Federazione nell’Unione.

L’alternativa europea alle mancanze dei federalisti vedrà protagonisti tutti coloro che sapranno esaltare tanto l’effettiva indipendenza di giudizio, quale presupposto morale del proprio impegno politico, che rivendicare e rinnovare l’autonomia del movimento.

L’alternativa europea al vecchio modello organizzativo funzionariale e stipendiato la potranno vivere solo quelli che vorranno arricchirsi a dismisura, con il costante impegno e con la ferrea volontà nella battaglia per la costituzione dello stato federale europeo.

Nicola Forlani

Grazie Giorgio

Campoleoene, 10 marzo 2007

Mi associo ai ringraziamenti rivolti al segretario per il duro lavoro svolto in questi anni. Un grazie che credo vada esteso all’impegno dei tanti ragazzi dalla faccia pulita che ha saputo radunare intorno alla sezione di Verona.

Qualora la stagione del “divide et impera”*, della contrapposizione astiosa e del pregiudizio stia per volgere al termine, occorre sperare che egli non vorrà imporre a se stesso quella intransigenza che, più volte, ha avuto modo di riservare a molti di noi. Quella intransigenza che ha accompagnato tanti, troppi dirigenti, in quell’esilio che si sono imposti quando il mutare delle stagioni politiche li ha indotti ad abbandonare incarichi di primo piano.

Il Movimento ha bisogno di tutti i militanti, ma tutti i militanti devono avere il coraggio di “pretendere” il contributo di chi ha retto, nel passato più o meno recente, le sorti dell’organizzazione. Per il futuro, dovremo riuscire a riservare i sentimenti di intransigenza ai nostri unici veri avversari, i nemici della Federazione europea.

Le persone di buona volontà non solo auspicano, ma stanno orientando le proprie energie, senza ipocrisie ed ambiguità, perché la nuova stagione di battaglie, che si annuncia per i prossimi anni, possa vedere protagonista il Movimento che noi tutti vogliamo: unito e solidale nell’azione, ricco ed articolato fin anche nella contrapposizione, ma solo delle idee. Quelle idee che dovrebbero costantemente alimentare il dibattito, la nostra unica vera risorsa e che, da troppo tempo, stiamo trascurando.

Per rinnovare, ancora una volta, il nostro comune impegno i volenterosi tenteranno di far appello più che alle fredde disposizioni delle delibere assembleari o all’interpretazione più o meno ottusa delle regole, a quella magica combinazione di cuore e cervello, di passione e ragione che distingue l’amico dal militante, il socio da chi vive, giorno per giorno, la contraddizione tra i fatti ed i valori come la propria questione personale.

Nicola Forlani

* Divide ed impera. Espressione attribuita a molti, da Filippo il Macedone a Luigi XI di Francia, all’insegna di una gestione del potere basata sulla divisione e il sospetto tra i sudditi.

Iniziativa legislativa, competenze, stato

Campoleoene, 12 febbraio 2007

Premessa

Le recenti riflessioni di Giulio Tremonti, circa la necessità di attribuire il potere di iniziativa legislativa al Parlamento europeo e al Consiglio, fanno da corollario a quelle di Giuliano Amato sulla necessità di superare il monopolio dell’iniziativa attualmente in capo alla Commissione. La questione potrebbe apparire come una delle tante in tema di risoluzione del deficit democratico.

A ben vedere c’è molto di più. Con tali proposte si mette in discussione il concetto stesso di legittimità negoziale e funzionale dell’Unione (1), limite intrinseco dell’attuale struttura comunitaria, che non viene per nulla scalfito dal Trattato costituzionale, emendato o no che sia. Per molti versi il TCE tende addirittura ad accentuare e meglio chiarire il principio della condivisione delle competenze e delle responsabilità.

Potere di iniziativa. Monopolio della Commissione

Attualmente il potere di iniziativa è di regola in capo alla Commissione. Il TUE è chiarissimo in materia e non è un caso se ogni proposta della Commissione debba indicare anche la base giuridica, cioè l’articolo del trattato che autorizza l’adozione di un determinato atto. Consiglio e Parlamento hanno assoluto rilievo nell’iter legislativo delle proposte della Commissione, ma non hanno capacità di iniziativa, e conseguentemente di proposta politica (2).

Con il TCE le istituzioni dell’Unione si rafforzano sempre di più nelle loro prerogative negoziali proprio grazie all’estensione del voto a maggioranza e della procedura di codecisione legislativa. In particolare, il TCE attribuisce alla Commissione il potere di iniziativa esclusivo nel quadro della procedura legislativa ordinaria. Nella buona sostanza si accentua la dimensione tecnocratica delle istituzioni a tutto discapito della più auspicabile dimensione democratico/politica.

Iniziativa legislativa in capo alle assemblee parlamentari

Togliere il monopolio del potere di iniziativa alla Commissione per condividerlo con il Parlamento ed il Consiglio rappresenterebbe un’innovazione di assoluto rilievo e prioritariamente politica. Nel Parlamento si formerebbero maggioranze omogenee su visioni e scelte politiche alternative intorno a specifici provvedimenti legislativi, ad iniziare da quello principe, la legge di bilancio.

La Commissione si troverebbe nelle condizioni di dover raccogliere i consensi su un’effettiva maggioranza politica trasformandosi così in effettiva compagine governativa ed esecutiva responsabile di fronte al Parlamento ed, in ultima istanza, di fronte ai cittadini europei. Nel processo entrerebbe in gioco anche il Consiglio che, dotato di iniziativa legislativa, si trasformerebbe in vera e propria assemblea senatoriale ad elezione indiretta dei suoi componenti.

Dal principio di attribuzione delle competenze enumerate a quello generalista

Se l’obiettivo dell’Unione politica volesse essere effettivamente sostenuto andrebbe anche superato l’attuale principio di attribuzione delle competenze enumerate (aree di competenza, istituzioni responsabili e procedure decisionali, obiettivi che le istituzioni devono perseguire), principio confermato e ancor meglio chiarito nell’art. I-11 TCE sui principi fondamentali delle competenze dell’Unione, ed adottato invece il principio di attribuzione di competenze a carattere generale (3).

La questione quindi non si porrebbe più come per il passato e cioè: quali ulteriori e specifiche competenze attribuire all’Unione. Oggi si dovrebbe discutere di quali competenze di carattere generale attribuire l’iniziativa legislativa al Parlamento, al Consiglio e alla Commissione stessa. Quelle prioritarie dovrebbero essere la competenza economica, la competenza nel settore della politica estera e di sicurezza, la competenza nelle questioni della difesa.

Lo stato federale obiettivo ineluttabile

A ben pensarci un’organizzazione politica a competenza generalista, con l’iniziativa legislativa riconosciuta alle assemblee elettive (presidio del processo democratico di raccolta e gestione del consenso politico), le cui norme agiscono per potere sovrano in un determinato territorio e per una pluralità di cittadini ivi residenti (popolo), in termini di dottrina si può definire quale stato costituzionale e parlamentare. Ed essendo di natura sussidiaria rispetto a realtà statuali preesistenti si può ulteriormente definire quale stato federale e plurinazionale a carattere strumentale.

La definizione giuridica minima per il riconoscimento della natura federale di un futuro ordinamento europeo non ci aiuta però a comprendere né quando, né con chi, né su cosa è possibile fare il salto. Per trovare risposta a queste domande si dovrebbe prima definire la questione relativa al quadro generale di riferimento, cioè al come.

E’ possibile fare il salto federale in un gruppo d’avanguardia, nell’attuale dimensione comunitaria a 27, tramite lo strumento delle cooperazioni rafforzate (mai utilizzate sino ad ora) ovvero se è invece indispensabile un atto di discontinuità, rispetto al processo di integrazione/costituzionalizzazione funzionalista, che preveda un’iniziativa di rifondazione politica al di fuori dei trattati esistenti.

Come fare il salto federale

La logica delle cooperazione rafforzate resta essenzialmente funzionale anche nel TCE e si presta ben poco ad introdurre elementi di rottura negli assetti comunitari per il fatto stesso che esse devono rispettare il quadro istituzionale unico e, conseguentemente, l’attuale ripartizione dei poteri fra Consiglio, Parlamento e Commissione. Le novità mirano a facilitarne l’instaurazione, ma solo in settori previsti dai trattati stessi e ad esclusione di quelli militari (4) e della difesa.

Tanto l’art. 43 TUE, comma 1 che l’art. I-44-TCE, comma 1 chiariscono come per instaurare una cooperazione rafforzata si deve in ogni caso far ricorso alle istituzioni, alle procedure ed ai meccanismi previsti dal trattato/costituzione.

Il che porterebbe ad escludere la possibilità che, in tema di condivisione dell’iniziativa legislativa e/o di introduzione di competenze generaliste e tanto più di utilizzo dello strumento referendario di ratifica, si possano utilizzare le cooperazioni rafforzate stesse. In tale prospettiva il salto federale o si fa tutti e 27 insieme (cosa ormai molto improbabile e al limite dell’impossibile) o con un nuovo atto fondante tra paesi pionieri al di fuori dei trattati esistenti.

E’ su queste basi che l’obiettivo dell’unione politica dell’Europa potrebbe trovare soluzione. Successivamente si potrà procedere all’elaborazione di un'effettiva costituzione formale. Allora sì che i federalisti potrebbero dirsi soddisfatti, lasciando alla fantasia di qualche avveduto diplomatico, opportunamente assistito da un affollato team di esperti di marketing, l’irrilevante questione di quale nome dare al testo che né fosse alla base.

Nicola Forlani

(1) Legittimità funzionale. Ciò che legittima un ordinamento pubblico come l’Unione da parte dei cittadini risiede nei risultati a vario titolo desiderabili. Il deficit democratico è tollerabile solo ed in quanto il livello europeo è più efficiente di quello nazionale.

(2) Eccezioni al monopolio dell’iniziativa già presente nel TUE e che sono confermate nel TCE sono quelle relative agli atti PESC (l’iniziativa è in capo agli stati membri e al ministro degli affari esteri dell’Unione con potere della Commissione residuale, artt. I-40, I-41 e II–299-TCE) e agli atti della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale (potere di iniziativa condiviso tra Commissione e Stati membri art. III-264-TCE).

Ma la loro portata è del tutto secondaria stante la natura intergovernativa della PESC da un alto ed il potere di iniziativa sempre in capo alla sola Commissione, tra le istituzioni comunitarie, nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale che, con il TCE, verrebbe di fatto comunitarizzata.

(3) Tanto l’art. 308 del TUE sui poteri impliciti che l’attività giurisprudenziale della Corte di giustizia non correggono più di tanto il principio enumerativo alla luce della limitazione alla possibilità di adozione di tali azioni al solo completamento del mercato unico. La stessa Carta dei diritti nel TCE è depotenziata nella sua valenza giuridica, sotto il profilo di enunciazione di diritti generalisti, proprio e perché applicabile solo nell’ambito delle competenze enumerate (art. II -111, comma 2 del TCE - “la presente Carta non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di là delle competenze dell'Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l'Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nelle altre parti della Costituzione). Identiche considerazione possono riguardare l’art. I-18 del TCE relativo alla clausola di flessibilità.

(4) Altra cosa è lo strumento della cooperazione strutturata permanente tra stati membri nel settore militare ex artt. I-41, comma 6 e III-312 del TCE a cui non si applicano le disposizioni previste per la cooperazione rafforzata.

Quelli che il referendum

Campoleoene, 25 marzo 2007

Da quando non è più tanto alla moda declamare la parola “costituzione”, è partita una vera e propria caccia al tesoro. La vincerà chi riuscirà ad individuare cosa mai possa essere oggetto di un ipotetico referendum europeo. Nelle prossime settimane ne ascolteremo delle belle. La fantasia, coniugata all’approssimazione dei concetti e all’ambiguità delle proposte, ci riserverà grandi ed imprevedibili sorprese. Per intanto, limitiamoci agli sforzi creativi che possiamo, sino ad ora, annoverare.

Quelli che il referendum … lo vogliono consultivo e sulla costituzione europea. L’oggetto sembrerebbe essere deceduto nei due passaggi referendari del 2005. Ma costoro, insensibili ad una più accorta riflessione sulle motivazioni etiche dell’accanimento terapeutico, tengono in vita il feticcio convenzionale con la stessa impassibile fede con cui i comunisti tengono in vita Castro e il suo mito.

Quelli che il referendum … lo vogliono sul processo costituzionale, così come recita una recente mozione approvata da Camera e Senato. La fecondità creativa che è alla base di tale proposta potrebbe trovare soluzione in un enigma kafkiano, ma è un’ipotesi interpretativa che sarà bene relegare ai momenti di fatica, tutta esistenzialista, del vivere.

Quelli che il referendum … lo vogliono sull’Unione europea, così come proposto di recente da alcuni brillanti parlamentari. Un ulteriore elemento che va ad arricchire la qualità e la profondità della proposta della commissione costituzionale del Parlamento europeo che sarà, grazie a tale illuminazione, sempre più punto di riferimento imprescindibile dei negoziati istituzionali dei prossimi mesi.

Quelli che il referendum …. lo vogliono sull’allargamento e sull’approfondimento dell’Ue. Ebbene si! La folgorazione referendaria ha colpito anche Jurgen Habermas, colui che ha attribuito, da sempre, grande importanza ai problemi dell’interazione del linguaggio, colui che ha introdotto il concetto di “agire comunicativo” quale elemento di razionalità dei rapporti sociali. Prima o poi, l’insigne sociologo ci spiegherà cosa ci sia di razionale in un “agire comunicativo” che chiede di esprimersi su concetti sconosciuti al 99,9% del mondo politico, figuriamoci all’opinione pubblica.

Per ultimi, ma che si distinguono per ineffabile coerenza, ci sono quelli che il referendum … è uguaglio. Per costoro riflettere sull’oggetto della chiamata è cosa del tutto irrilevante. L’importante è che in una bella giornata di primavera del 2009, il popolo della città di Smeraldo, gaudente e festante, venga chiamato dal Mago di Oz a dire un si o un no su un qualcosa purché sia. Unica condizione irrinunciabile è che la domanda referendaria sia il più possibile astrusa, ambigua ed incomprensibile. Il Boscaiolo di latta rimarrà senza cuore, il Leone codardo senza coraggio, lo Spaventapasseri di paglia senza cervello e la terra di Quading non sarà mai raggiunta, ma poco importa … è uguaglio.

Nicola Forlani

Europa ed America 2

Campoleone 27 marzo 2007

Quando i popoli liberi d’Europa di saranno uniti in una comunità federale, l’attuale equilibrio di potenze nel mondo si modificherà radicalmente.

Tanto la felice conclusone del sequestro di Daniele Mastrogiacomo, quanto il recente voto parlamentare sul rifinanziamento della missione italiana in Afganistan hanno posto nuovamente all’attenzione dell’opinione pubblica la questione de rapporti tra gli Stati europei e tra di essi e gli Stati Uniti d’America. Su questi aspetti si è più volte soffermato Altiero Spinelli, l’eroe della ragione, che viene giustamente evocato nel novero dei padri spirituali del Partito Democratico. Per sfuggire al banale esercizio retorico ed intendendo definire il nuovo costituendo soggetto politico come strumento per l’attuazione di un programma di governo per l’Italia e l’Europa è indispensabile soffermarsi sulle idee del passato, ma solo per costantemente rinnovarle quale preciso impegno per il futuro.

Di seguito propongo alla vostra attenzione un brano tratto da “Il Manifesto dei Federalisti Europei” di Altiero Spinelli (edizione anastatica del volume pubblicato nel 1957, AICCRE, Quaderni europei, 2006, pag. 98), documento meno noto del “Manifesto di Ventotene” del 1941, ma altrettanto importante.

“ Quando i popoli liberi d’Europa di saranno uniti in una comunità federale, l’attuale equilibrio di potenze nel mondo si modificherà radicalmente. Gli Stati Uniti d’Europa con il loro potenziale demografico, economico e di civiltà non potranno infatti chiudersi un oscuro isolamento, ma diventeranno automaticamente una delle grandi potenze mondiali, accanto agli Stati Uniti d’America e all’Unione sovietica.

Il popolo europeo resterà amico del popolo americano che è figlio dell’Europa, che ha salvato l’Europa dalla servitù e che cono metodi e costumi propri coltiva e sviluppa gli stessi ideali di civiltà. Ma non sarà, come sono invece oggi gli stati nazionali d’Europa, un protettorato militare, politico ed economico dell’America.

Indipendente e capace di avere una propria politica, la Federazione europea contribuirà a rafforzare in America le correnti autenticamente democratiche ed internazionaliste contro quelle malsane in cui vecchio isolazionismo e nuovo imperialismo si combinano, e che oggi emergono proprio come conseguenza dello stato di solitudine politica in cui l’Europa, con il suo fallimento, ha lasciato l’America.

Stati Uniti d’Europa e Stati Uniti d’America, potranno così affrontare con maggiori probabilità di successo la gravissima sfida che la storia umana ha oggi lanciato ai popoli che per primi hanno raggiunto un elevato grado di benessere materiale e che su questa base hanno potuto costruire il superbo ma delicato edifizio delle libertà umane.”

Mai parole furono di così drammatica attualità soprattutto se confrontate con le evanescenti celebrazioni del recente Consiglio europeo di Berlino. Occorre, con urgenza, tornare all’ispirazione dei Padri fondatori, ad iniziare dalla lucida proposta federalista di Altiero Spinelli, e riprendere il progetto di un’Europa politica. Occorre un governo europeo pienamente sovrano in materia di politica estera, di sicurezza e di difesa e nella politica economica e fiscale.

La responsabilità storica di tutto ciò grava in particolare sulla Francia e sulla Germania e sugli altri Paesi che hanno fondato la prima Comunità europea. Ad essi spetta il compito di assumere l’iniziativa e proporre un Patto statuale e federale, in principio tra i paesi dell’area euro, ma aperto ai Paesi che vorranno successivamente aderirvi. Solo in questo modo i cittadini europei potranno tornare ad essere padroni del proprio destino.

Nicola Forlani

GFE dove sei

Campoleoene, 12 dicembre 2007

Quando ero nella GFE ricordo la gran fatica che si faceva per indirizzare la JEF tutta verso posizioni, rivendicazioni ed azioni che fossero, quanto più possibile, vicine ad una spirito più propriamente federalista. Sia chiaro, non sempre ci riuscivamo, anzi.

A memoria non ricordo però che mai la GFE abbia aderito ad un’iniziativa, seppur a dimensione tattica (manifestazione sulla bandiera), depotenziandola ulteriormente di qualsiasi spessore quanto meno dichiarativo.

Propongo in calce alla mia il documento di presentazione della azione “J want my flag back!!!” così come pubblicato sul sito http://www.jef-europe.net .

Salta immediatamente all’occhio che gli amici di Bruxelles non hanno di certo dimenticato che tra i simboli vi fosse anche la festa del 9 maggio ed il motto, oltre la bandiera e l’inno. Tra l’altro la GFE è stata protagonista di una bella ed ampia mobilitazione durante la triste vicenda della giornata delle vittime del terrorismo.

In secondo luogo nel documento JEF non si inneggia all’allargamento ai nuovi paesi come una grande conquista sulla strada dell’Unione politica (o meglio l’obiettivo dell’Unione politica è qui considerato implicito, stante il fatto che nel volantino della GFE non se ne fa riferimento alcuno e si cita solo il concetto del tutto indeterminato di un’Europa sempre più unita). E’ giusto il contrario. Ogni allargamento ha segnato un colpo inferto alla prospettiva di una più stretta unione politica.

In terzo luogo i giovani amici della JEF fanno almeno riferimento alla dichiarazione Schuman (atto fondativo del processo), mentre la nuova generazione italiana ha l’ardine di richiamarsi ad erasmus (il progetto, non certo il grande umanista di Rotterdam). Anche da un punto di vista di opportunità comunicativa la cosa sarebbe decisamente da evitare visto che ultimamente il termine è utilizzato per distinguere una generazione di ragazzi bruciati tra droghe senza amore, amore senza sesso e sesso senza piacere.

Ci saremmo aspettati che i giovani federalisti italiani si fossero richiamati ad Altiero Spinelli ed al Manifesto di Ventotene. Ma forse è meglio così. Meglio non confondere né l’uno né l’altro con questa buffa manifestazione.

In tutto ciò si aggiunga che la GFE scenderà per le strade chiedendo una vera Costituzione europea. Vera? Vera rispetto a cosa? E cosa sarebbe mai una falsa costituzione? A scrivere costituzione FEDERALE e basta a qualcuno veniva per caso l’orticaria?

Sono sinceramente indignato e costernato per il livello di approssimazione concettuale e propositiva che si avvicina ormai ai limiti dell’indecenza. Le mie severe valutazioni presuppongono che si effettui una lettura delle cose secondo l’ottica federalista. Qualora ci trovassimo di fronte una presa di posizione dei giovani di Forza Italia non ci meraviglieremmo affatto. Anzi, ci toccherebbe apprezzarne il profondo spirito europeista.

In ogni caso si pone una questione che non potremmo di certo soprassedere nel corso dei prossimi mesi: formazione e selezione dei militanti. E’ evidente che molto c’è da fare. E’ evidente che chi, nel MFE, ha avuto la responsabilità del settore ha tragicamente fallito. E’ evidente che questo dovrà essere un tema prioritario della prossima conferenza organizzativa.

Nicola Forlani

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“I want my flag back!!!”

JEF Europe pan-European Action 12th/13th December 2007

* JEF Europe (Young European Federalists) has initiated a pan-European Action to take place throughout Europe to coincide with the official signing of the Reform Treaty.

* In 2005 the European Constitution was rejected by French and Dutch voters. Since then, European leaders have been faced with bringing Europe out of a deep political crisis. The result: a rather modest version of the European constitution, downsized, and stripped of any constitutional or political dimension.

* The European symbols have been scrapped, not to be mentioned in the final text that will be signed on 13th December. The Euro - written to be the official currency of the Union, is the only “survivor” of Article IV-1 (The symbols of the Union) of the rejected Constitution.

* European symbols such as the anthem and the flag are symbols that all Europeans, from Lapland to the Algarve can identify with. They unite our peoples and nations and they strengthen the principle of solidarity.

* Europe is more than an economic union. Our symbols contribute to the shaping of a true political union, of a European ethos and even identity.
* The European Union is based on the principles of unity, peace, freedom, solidarity, democracy and respect for human rights. Through our common symbols, we transmit our values throughout the world.

* Europe will not be united by force but by conviction. It’s by giving people a sense of belonging that a union of citizens will advance. Legal treaties alone will not unite our peoples. We have made Europe. Lets now make Europeans!

* JEF Europe demands that European symbols are taken seriously. We ask that our symbols are acknowledged in the legal context of the EU and call on our leaders not to sideline European citizens in the construction of Europe.

2 The Symbols explained

Flag

The European flag is the symbol not only of the European Union but also of Europe’s unity and identity in a wider sense. The circle of twelve golden stars on a blue background represents solidarity and harmony between the peoples of Europe. Both symbols represent completeness and unity. The number of the stars does not correspond to the number of EU Member States, the flag therefore remains unchanged regardless of EU enlargements.

Anthem

The melody of the European Anthem comes from the Ninth Symphony composed in 1823 by Ludwig van Beethoven. For the final movement of this symphony, Beethoven set to music the “Ode to Joy” written in 1785 by Friedrich von Schiller. This poem expresses Schiller’s idealistic vision of the human race becoming brothers – a vision Beethoven shared. Without words, in the universal language of music, this anthem expresses the ideals of freedom, peace and solidarity for which Europe stands.

9th May

On the 9th of May 1950 in Paris the first move was made towards the creation of what is now known as the European Union. On that day, against the background of the threat of a Third World War engulfing the whole of Europe, the French Foreign Minister Robert Schuman presented his proposal on the creation of an organised Europe, indispensable to the maintenance of peaceful relations. He read to the international press a declaration calling France, Germany and other European countries to pool together their coal and steel production as "the first concrete foundation of a European federation.

Motto

“United in diversity” is the logo that represents Europe as a continent with many different traditions and languages, but also with shared values. It was first established through an unofficial process in 2000. It was selected from entries proposed by school pupils and submitted to a special website on the Internet. It was then accepted by the President of the European Parliament, Nicole Fontaine.

JEF Europe (Young European Federalists)

JEF is an organisation of young people from all over Europe who share a vision of a united, federal and democratic Europe. It brings together people at local, regional, national and European level to campaign for a federal Europe based on the values of peace, democracy and the rule of law. We organise seminars, conferences, campaigns, street activities and lobbying activities to work for the goal of a European federation.

www.jef.eu

Grazie Presidente

Campoleone, 27 gennaio 2008

Uno dei più evidenti malcostumi della vita politica italiana è quello di tirar per la giacca il Presidente della Repubblica: ci si appella alle sue prerogative istituzionali per sostenere, partigianamente, questa o quella posizione di comodo.

Anche nel Movimento federalista, organizzazione che fa sempre più fatica a rimarcare e coltivare la propria autonomia di pensiero (dimensione propria di linguaggio, astrazioni concettuali, costruzioni idealtipiche), sta prendendo piede il malvezzo di utilizzare, a pezzi e bocconi, le esternazioni dell’inquilino del Colle.

Nell’ultimo comunicato della segretaria MFE, per ampie parti condivisibile, ma che ha un evidente limite nell’indeterminatezza prospettica in cui va a collocarsi, si cita il Presidente per aver ricordato, solennemente, le radici europee della costituzione italiana. Vero! Bello! Ma drammaticamente poco o nulla se paragonato con l’altissimo profilo degli interventi di Giorgio Napolitano in tema.

Il 27 Novembre 2007, in occasione della sua visita all’Università di Humboldt, egli ha tenuto una lezione su: “Sciogliere l’antico nodo di contrastanti visioni del progetto europeo. Far emergere una nuova volontà politica comune” (http://www.quirinale.it/Discorsi/Discorso.asp?id=34484).

Un contributo, che per chiarezza delle argomentazioni e brillantezza dell’esposizione, colloca il Presidente tra i migliori eredi della tradizione europeista, e per molti versi federalista, del nostro paese.

Nella Lectio Magistralis, egli ha richiamato lo spirito delle origini e ha riaffermato la sua persistente vitalità. Ha sostenuto come l’Idea della federazione europea sia stata, e permanga, il motore del processo di integrazione. Ha tracciato i confini dell’Europa e le sue nuove responsabilità di attore globale. Ha affermato la necessità dell’integrazione differenziata per poter continuare a proseguire l’obiettivo dell’unione politica. Ha fatto appello al ruolo dei paesi fondatori come Italia, Francia e Germania.

Il Presidente si è spinto sino ai limiti di ciò che poteva dire, alla luce dei doveri a cui è chiamato dall’alta magistratura attualmente ricoperta. Oltre dovrebbe procedere chi può, chi deve. Di certo nel ruolo di avanguardia progressista non si colloca, al momento, il Movimento.

Il MFE continua, pervicacemente, ad esprimere una posizione fortemente conservatrice, ancorata al defunto schema convenzionale che ha trascinato nell’oblio anche lo slancio pioniere e le logiche di integrazione funzionale della piccola Europa degli anni ’80. Le sue risoluzioni politiche sono sempre più edulcorate e inoffensive nei riguardi delle logiche di potere nazionale e comunitario. Nel suo livello dirigente tendono sempre più a prevalere interessi, seppur legittimi, ma sostanzialmente estranei all’organizzazione stessa.

Giorgio Napolitano ha avuto sempre grande attenzione per le proposte che giungono dal MFE. I soliti ben informati (vox populi, vox dei) raccontano che avrebbe avuto modo di incrociare la balzana e circonvoluta proposta della convenzione democratica costituente. Le sue reazioni sarebbero state tra l’ilare e l’irato. Fortuna che il precipitare della situazione familiare del Ministro della giustizia e, per diretta conseguenza, la crisi di governo hanno repentinamente attratto la sua attenzione.

Con buona probabilità, il Presidente continuerà a sottolineare, anche pubblicamente, il ruolo del federalismo militante (pensiero ed azione) quale componente fondante dello spirito e delle libertà repubblicane. Lo ha fatto per il passato. Non ci sono buoni motivi per i quali non debba continuare a farlo per il futuro.

E’ facile però prevedere che, come avvenuto al Congresso di Roma, porrà particolare attenzione a non associare il proprio nome con slogan abborracciati come quello del referendum europeo di ratifica del trattato costituzionale che, per approssimazione ed inutilità, richiama tanto quello della convenzione democratica costituente. Grazie Presidente, per la pazienza e la lungimiranza.

Nicola Forlani

Europa ed America 1

Campoleone, 21 febbraio 2007

Di seguito propongo alla vostra attenzione un brano tratto da “Il MANIFESTO DEI FEDERALISTI EUROPEI” di Altiero Spinelli (edizione anastatica del volume pubblicato nel 1957, AICCRE, Quaderni europei, 2006, pag. 98).

Lascio al vostro giudizio una valutazione non tanto sulle “Mancanze d’Europa”, che ricadono sulle deficienze di una classe politica che ha saputo ancora una volta distinguersi per insulsaggine ed ottusità, ma sulle “Mancanze dei federalisti”. Delle prime non ci meravigliamo più di tanto. Delle seconde né condividiamo tutti la responsabilità.

EUROPA ED AMERICA

Quando i popoli liberi d’Europa di saranno uniti in una comunità federale, l’attuale equilibrio di potenze nel mondo si modificherà radicalmente. Gli Stati Uniti d’Europa con il loro potenziale demografico, economico e di civiltà non potranno infatti chiudersi un oscuro isolamento, ma diventeranno automaticamente una delle grandi potenze mondiali, accanto agli Stati Uniti d’America e all’Unione Sovietica.

Il popolo europeo resterà amico del popolo americano che è figlio dell’Europa, che ha salvato l’Europa dalla servitù e che cono metodi e costumi propri coltiva e sviluppa gli stessi ideali di civiltà. Ma non sarà, come sono invece oggi gli stati nazionali d’Europa, un protettorato militare, politico ed economico dell’America. Indipendente e capace di avere una propria politica, la Federazione europea contribuirà a rafforzare in America le correnti autenticamente democratiche ed internazionaliste contro quelle malsane in cui vecchio isolazionismo e nuovo imperialismo si combinano, e che oggi emergono proprio come conseguenza dello stato disolitudine politica in cui l’Europa, con il suo fallimento, ha lasciato l’America.

Stati Uniti d’Europa e Stati Uniti d’America, potranno così affrontare con maggiori probabilità di successo la gravissima sfida che la storia umana ha oggi lanciato ai popoli che per primi hanno raggiunto un elevato grado di benessere materiale e che su questa base hanno potuto costruire il superbo ma delicato edifizio delle libertà umane.

Nicola Forlani

Rete diplomatica europea, punto non applicabile

Campoleone, 15 dimcebre 2007

Dopo Lisbona non ci saranno più cambiamenti ai trattati per i prossimi quindici anni. Sarà possibile intervenire solo sul paino dell’attuazione delle politiche. Sotto questo profilo diventerà determinante la questione delle volontà delle classi dirigenti degli stati membri.

Questo il senso dell’intervento di Franco Frattini in occasione della presentazione del libro di Jacques Ziller, il nuovo Trattato europeo (Roma 13/12/07). Il vicepresidente ha continuato affermando che la rete diplomatica europea che sosterrà le funzioni dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (servizio europeo per l’azione esterna, art. III-296 del trattato costituzionale ora art.13 bis Tue) probabilmente sarà un punto del Trattato di Lisbona che rimarrà pressoché inapplicato.

Ha ricordato come il servizio dovrebbe essere composto da funzionari dei servizi competenti tanto della Commissione quanto del segretariato generale del Consiglio: un ingorgo di competenze amministrative e di risorse finanziare che sarà molto difficile da sciogliere, tanto più che al servizio potrà essere chiamato anche personale dei servizi diplomatici nazionali.

Infine, si tenga presente che il servizio europeo stesso si andrà a sovrapporre alle funzioni già svolte dalle delegazioni della Commissione presenti negli stati non Ue.

Frattini si è soffermato anche sui passaggi relativi alle scelte che dovranno essere compiute in seno alla Commissione europea alla luce dell’ingresso in corsa dell’alto rappresentante. Qualora fosse confermato Javier Solana salterebbe il portafoglio di Joaquin Almunia agli affari economici e monetari (gli spagnoli non possono avere più di un commissario).

Inoltre, l’attuale portafoglio di Benita Ferroro-Waldner sarebbe assorbito dall’alto rappresentante stesso sul quale incombono le responsabilità delle relazioni esterne. Occorrerebbe trovare una nuova collocazione per il rappresentante austriaco.

In conclusione Frattini ritiene che, di fatto, le funzioni dell’alto rappresentante saranno quelle di un vicepresidente della Commissione con delega alle relazioni esterne e difficilmente potrà svolgere le sue funzioni a doppio cappello Commissione/Consiglio.

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Una lettura più spregiudicata delle dichiarazioni di Frattini indica come, di fatto, sarà il Consiglio a rafforzarsi nel ruolo di controllo sulla Commissione, visto che l’alto commissario (cioè il vicepresidente della Commissione con delega alle relazioni esterne) è nominato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata e con l’accordo del presidente della Commissione. Inoltre, la nomina dell’alto rappresentate comporterà un valzer delle poltrone in senso alla Commissione che, ancora una volta, sarà danzato secondo i tempi ed i modi voluti dai governi nazionali. Risultato: una Commissione sempre più a funzione segretariale e sempre meno motore del processo di integrazione.

Nicola Forlani

Grazie Roma

Campoleone, 5 marzo 2007

Grazie Roma per aver perseguito, con strenua caparbietà, la miglior riuscita delle celebrazioni spinelliane in Protomoteca. La presenza, per nulla scontata alla luce della concomitante crisi di governo, del Presidente Giorgio Napolitano sottolinea, con ancora maggior forza, quanto il patrimonio ideale e politico del federalismo sia a fondamento stesso delle libertà repubblicane.

Grazie Roma per aver sostenuto, con indubbio successo, l’onere organizzativo del Congresso in una delle più difficili crisi del processo di integrazione e grazie per aver reagito, con genuino e disinteressato spirito di servizio, ai momenti di tensione che si sono succeduti tanto nel dibattito, che nelle fasi di assunzione delle decisioni politiche.

Grazie Roma per aver ospitato un Congresso che potrebbe offrire a tutti i militanti, nessuno escluso, l’occasione per rinnovare il proprio personale impegno, e con esso quello del movimento, nella battaglia per la costituzione dello stato federale europeo.

Nicola Forlani

Kosovo e delirio di onnipotenza

di Nicola Forlani

Un recente editeriale di Virgilio Dastoli, direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea,chiude con un'efficace riflessione: “il dossier del Kosovo rappresenta un test per provare che la politica estera e di sicurezza può funzionare secondo il sistema confederale imposto dai governi nazionali o per dimostrare ancora una volta che la capacità di intervento dell'Unione europea nel mondo richiede volontà, poteri e strumenti diversi da quelli che ad essa sono stati assegnati.”

Gli anni della sbornia convenzial gaudente sono ormai alle nostre spalle. Il tentativo di dar vita al mostro ermafrodito voluto da Giscard/Frankentstein (il trattato costituzione), in cui il sistema comunitario veniva eretto a modello planetario del potere morbido, è miseramente fallito.

Il delirio di onnipotenza di chi ha creduto in un approccio metafisico della politica; la creatura lessicalmente e simbolicamente evocativa ma strutturalmente inconsistente; il terrore con cui l’opinione pubblica ha accolto l’entità diversa ed estranea: gli elementi del romanzo ci sono tutti. Il prometeo moderno di Mary Wollstonecraft Shelly subirà la punizione di Zeus per aver tentato di donare la scintilla della vita alla razza umana? E quanto a lungo il Titano rimarrà ancorato alla sua roccia?

Per il futuro, come suggerito da Dastoli, sarà opportuno rilanciare quei semplici, per molti versi elementari, eppur così efficaci criteri di valutazione che consentono di separare la farina dalla crusca.

La distinzione tra sistema confederale e federale è la via maestra da seguire. Può essere molto complesso attribuirle la dimensione idealtipica del modello weberiano. Altrettanto complesso è immaginare quale sarà, nel divenire storico del rapporto tra le nazioni europee, la forma che questi concetti potranno assumere quando andranno a sostanziarsi in effettive istituzioni politiche sovranazionali.

Però una cosa è sicuramente più facile: applicare, senza bisogno di lambiccarsi eccessivamente il cervello, i modelli stessi per interpretare la realtà. In quest’ultimo caso, tra più soluzioni, quella più semplice è quasi sempre quella esatta.

Campoleone, 4 marzo 2008

L’Europa è incapace di agire

Campoleone, 18 febbraio 2008

Ennesima dimostrazione di impotenza. Sul Kosovo l’Europa si spacca, si divide, prende atto e mostra, al mondo intero, tutta la sua inconsistenza.

L’Unione europea conta quanto un tre di briscola nello scacchiere internazionale. Gli USA hanno voluto l’indipendenza, un po’ nella ricerca di una onorevole via d’uscita, un po’ per alimentare il braccio di ferro con la Russia.

Gli europei, pavidi, stanno alla finestra ed assecondano le volontà dell’alleato americano, stando ben attenti a non irritare troppo le sensibilità di Putin. Lo zar potrebbe non prenderla per il verso giusto, chiudere momentaneamente la valvola del gas e lasciarci riconoscere stati fantasma in sale stampa gelide ed illuminate da qualche stearica votiva.

Questa è la politica estera europea. Questa sarebbe stata la politica estera anche con il Trattato di riforma in vigore, con l’Alto rappresentante chiamato Ministro, con la costituzione strombazzata ai quattro venti, con Junker piuttosto che Barroso alla presidenza della Commissione, con Verhofstadt piuttosto che Blair alla presidenza del Consiglio. Nella buona sostanza nulla sarebbe cambiato. Una verità che può essere sottaciuta solo per stupidità o per malafede. Tertium non datur.

Qualche sprovveduto vuol veramente farci credere che le vicende cui stiamo assistendo sono la rappresentazione dei frammenti di quella statualità europea che è già tra noi? L’edificio europeo ormai è già bello che abbozzato ed occorre solo dotarlo di un impianto costituzionale?

Menti semplici e perverse vogliono darci ad intendere che con un po’ di bandierine a dodici stelle, direttive che si chiamano leggi ed una pletora di forum di consultazione con la società civile si possa considerare completato il processo di costruzione della comunità politica così come immaginata dai padri fondatori.

Oggi, come per il passato, l’Europa è incapace di agire. Oggi, come per il passato, è l’alternativa federalista, con la creazione di un solido stato sovrannazionale, la risposta razionale alle sfide del ventunesimo secolo. Il quadro dell’Ue a ventisette, in ulteriore ed ormai incontrollabile processo di allargamento, è destinato alla progressiva marginalizzazione. Solo un coerente o coeso nucleo federale potrà dare stabilità, e rinnovata credibilità, alla stessa Unione.

Nicola Forlani