di Nicola Forlani
La vicenda dell'elezione del presidente della Commissione europea, finalmente, si è conclusa. Non se ne poteva più! Alla gente comune, a quei cittadini europei le cui istanze si vorrebbero rappresentare, questa storia non interessava affatto, e probabilmente, ancor più oggi, stimola la fantasia dell'uomo comune in rappresentazioni di basso profilo culturale. Anche per gli addetti ai lavori la questione aveva ormai assunto i toni eccessivi e sgraziati di un arazzo Luigi XIII.
Da buoni due anni era chiaro a tutti che il portoghese era il miglior candidato per succedere a se stesso. Eppure c'è stato chi ha voluto alimentare una pseudo contrapposizione in nome di un'Europa bisognosa di un maggior afflato integrazionista; unico risultato tangibile: aver rafforzato il ruolo e l'nfluenza dello stesso Barroso. Dall'elezione egli ne è uscito come una sorta di gigante. Ha coalizzato euroscettici, conservatori e popolari. Il gruppo della sinistra si è spappolato al suo interno. Meglio di così, per lui, non sarebbe potuta andare.
Ma non basta! In termini più strettamente istituzionali il Consiglio ha umiliato le timide aspirazioni politiche del Parlamento. Si è chiarito, una volta e per tutte, che il ruolo del Presidente non può derogare in alcun modo alle funzioni di segretariato amministrativo che i capi di stato e di governo hanno assegnato alla Commissione. Assegnato, si badi bene, dai governi di destra, di centro e di sinistra. Quando c'è da chiarire dove risiede il potere, quello vero, non c'è corrente politica che tenga.
Chi ha voluto giocare all'Europa politica, a quell'Europa politica che non esiste, è uscito sconfitto. Non poteva essere altrimenti. I partiti europei non esistono, per il semplice fatto che non c'è nessun potere europeo da conquistare.
L'Europa è incapace di agire. Lo sarà con Barroro, che bontà sua speriamo possa presto dimenticare attacchi ingiustificati alla propria persona. L'Europa sarebbe, in ogni caso, rimasta incapace di agire, anche se alla testa della Commissione ci fosse stato Pippo, Pluto o Paperino. E' di tutta evidenza che non è una questione di nomi, ma di poteri effettivi che non esistono. Fortuna che ci sono almeno i federalisti che non mancano mai di ricordarlo.
L'Unione europea è, e rimane, un organismo di natura strettamente confederale, con buona pace dei costituzional gaudenti che sono ancora lì a sperare che il Trattato di Lisbona possa generare il mostro post statalista che come un informe blog elevi il metodo comunitario a rigeneratore dei destini del pianeta.
Campoleoene, 17 settembre 2009
giovedì 17 settembre 2009
Pensiero Positivo *
di Nicola Forlani
La tornate elettorali per le europee sono state vissute più come occasione per regolamenti di conti tutti nazionali che non come luogo di eccellenza per raccogliere le reali esigenze del popolo europeo.
Eppure l'assemblea di Strasburgo rappresenta l'istituzione a maggior tasso di democrazia. Ha ampi poteri in tema di bilancio comunitario. Da la fiducia alla nuova Commissione. Ha poteri di codecisione legislativa su materie che riguardano la nostra vita di tutti i giorni.
Ma non basta. L'Europa deve presto trovare un nuovo slancio federalistico. Il compito è arduo ed attiene principalmente alle responsabilità storiche dei paesi fondatori: Francia, Germania ed Italia in testa.
Il Parlamento europeo potrà essere il luogo ideale dove coniugare le nuove volontà politiche unificatrici in un nucleo forte di stati federati, con gli interessi geopolitci della più vasta Unione a 27.
Un pensiero positivo. Gli Stati uniti d'Europa non sono una chimera illusoria, ma un progetto di civiltà, quanto mai essenziale per contrastare il mondo globale della finanza dopata e dell'autocrazia statale.
Campoleone, 15 luglio 2009
*editoriale del 17 luglio 2009, trasmesso nel programma radiofonico dell'Ufficio per l'Italia del Parlamento europeo "Cosa decide il Pe?"
La tornate elettorali per le europee sono state vissute più come occasione per regolamenti di conti tutti nazionali che non come luogo di eccellenza per raccogliere le reali esigenze del popolo europeo.
Eppure l'assemblea di Strasburgo rappresenta l'istituzione a maggior tasso di democrazia. Ha ampi poteri in tema di bilancio comunitario. Da la fiducia alla nuova Commissione. Ha poteri di codecisione legislativa su materie che riguardano la nostra vita di tutti i giorni.
Ma non basta. L'Europa deve presto trovare un nuovo slancio federalistico. Il compito è arduo ed attiene principalmente alle responsabilità storiche dei paesi fondatori: Francia, Germania ed Italia in testa.
Il Parlamento europeo potrà essere il luogo ideale dove coniugare le nuove volontà politiche unificatrici in un nucleo forte di stati federati, con gli interessi geopolitci della più vasta Unione a 27.
Un pensiero positivo. Gli Stati uniti d'Europa non sono una chimera illusoria, ma un progetto di civiltà, quanto mai essenziale per contrastare il mondo globale della finanza dopata e dell'autocrazia statale.
Campoleone, 15 luglio 2009
*editoriale del 17 luglio 2009, trasmesso nel programma radiofonico dell'Ufficio per l'Italia del Parlamento europeo "Cosa decide il Pe?"
Sono un militante federalista *
di Nicola Forlani
Le tesi dei federalisti si confrontano costantemente con il variegato mondo delle proposte degli europeisti e più in generale di coloro che a vario titolo, non di rado oneroso, si occupano di Europa.
Una palude all'interno della quale, al di là di encomiabili eccezioni, si distinguono intellettuali, non sempre titolati, e se titolati non sempre per meriti scientifici, troppo sensibili al sottile fascino del potere costituito per poter esprimere proposte originali.
I primi sono in buona compagnia di politicanti senza più ideologie e cattivi maestri orfani del comunismo, pronti a confondere le menti delle nuove generazioni con il global-cosmopolitismo pedante ed inconcludente.
A seguire ci sono i protagonisti della vita economica alla ricerca di una verginità etica ormai irrimediabilmente perduta nel vortice delle leggi di mercato. Per finire troviamo caterve di giornalisti ed opinion maker compiacenti e disponibili a cambiar bandiera a seconda dei reconditi interessi dell'editore, palese o meno che sia.
Tra tutti questi rimestatori di idee quelli i più pericolosi sono coloro che sanno impareggiabilmente coniugare l'ignoranza dei temi all'arroganza dei modi.
Oggi, come per il passato, in questo variegato scenario, tocca ai militanti del Movimento Federalista Europeo sapersi distinguere. Essi hanno l'unico scopo di offrire il proprio contributo alla costruzione della Federazione europea, facendo appello, prima ancora che al patrimonio ideologico del federalismo organizzato, alla capacità di autonomia nei confronti del mondo politico tradizionale.
Un'autonomia che si sostanzia tanto in termini di elaborazione di un rigoroso quadro teorico di riferimento (Albertini) che di definizione di una combattiva azione politica (Spinelli).
Un'autonomia che va oltre l'abiura del conformismo culturale e che mira alla costruzione di un processo identitario che coniugando, azione e pensiero, sconfigge i pericoli dell'alienazione e fa del militante federalista un protagonista, consapevole, della storia, della sua storia, della storia dell'umanità.
I due elementi, pensiero ed azione, sono indissolubilmente legati e definiscono in maniera del tutto originale lo spessore culturale, prima ancora che politico, dell'"orgoglio federalista".
Ogni buon militante, al di là delle proprie attitudini personali, tende ad essere un intellettuale ed un politico, non di professione, egli non trasforma le proprie capacità in fonte di guadagno personale, ma dell'intellettuale e del politico ambisci averne la professionalità. Egli, cioè, mira a pensare e ad agire secondo una dimensione scientifica che fa dell'approccio volontaristico una forza e non certo un limite.
Ogni buon militante federalista ha vissuto un proprio personalissimo momento elettivo, che nulla a che fare con la partecipazione formale agli organi di rappresentanza. Egli si sente realmente partecipe del Movimento solo quando ha la percezione che le proprie idee e il proprio contributo diventano un tutt'uno con quelle degli altri compagni di viaggio.
Quando si è nel dibattito, quando si avverte di aver preso confidenza con un autonomo linguaggio, quando si avverte che le proprie opinioni sono parte e condizione per lo sviluppo di un reale pensiero comune, solo in quell'istante, di cui ognuno di noi serba un personalissimo ricordo, solo allora ognuno di noi può dire di se stesso: sono un militante federalista.
Quando si è nell'azione, quando si avverte che il proprio ruolo di agitatore politico viene preso ad esempio da altri, dai giovani, quando si percepisce di aver loro offerto la vera occasione elettiva, è solo in quell'istante che un militante ha la netta percezione che il proprio lavoro non è stato vano e che altri sono pronti a continuare la battaglia federalista contro le forze della conservazione.
Oggi, come per il passato, la proposta federalista non è quella che ha le maggiori possibilità di essere realizzata, non è quella che trova il maggior favore dell'opinione pubblica, non è quella che giustifica le logiche di potere nazionale, non è quella che cerca il superficiale ed impalpabile favore della palude europeista, ma è quella che ha l'ambizione di far emergere il partito di coloro che vogliono, inequivocabilmente, l'unione politica dell'Europa su basi federali.
La fondazione dello stato europeo, quello stato che sarà la risultante della sua posizione di forza nel mondo e dei suoi rapporti interni e non certo la creazione empirica di decisioni di individui e di gruppi politici e sociali, non avrà solo una valore concreto ed immediato, ma avrà un significato tutto ideale, accertabile nella dimensione culturale che motiva in profondità la formazione del pensiero umano: la cultura della negazione politica della divisione del genere umano.
E' nel perseguimento di questo alto valore ideale, è nel dar forma al proprio destino, e con esso al destino dell'umanità, che ognuno di noi può a buon diritto dire: sono un militante federalista.
Campoleone, 26 marzo 2009
*Intervento al Congresso di Catania del MFE
Le tesi dei federalisti si confrontano costantemente con il variegato mondo delle proposte degli europeisti e più in generale di coloro che a vario titolo, non di rado oneroso, si occupano di Europa.
Una palude all'interno della quale, al di là di encomiabili eccezioni, si distinguono intellettuali, non sempre titolati, e se titolati non sempre per meriti scientifici, troppo sensibili al sottile fascino del potere costituito per poter esprimere proposte originali.
I primi sono in buona compagnia di politicanti senza più ideologie e cattivi maestri orfani del comunismo, pronti a confondere le menti delle nuove generazioni con il global-cosmopolitismo pedante ed inconcludente.
A seguire ci sono i protagonisti della vita economica alla ricerca di una verginità etica ormai irrimediabilmente perduta nel vortice delle leggi di mercato. Per finire troviamo caterve di giornalisti ed opinion maker compiacenti e disponibili a cambiar bandiera a seconda dei reconditi interessi dell'editore, palese o meno che sia.
Tra tutti questi rimestatori di idee quelli i più pericolosi sono coloro che sanno impareggiabilmente coniugare l'ignoranza dei temi all'arroganza dei modi.
Oggi, come per il passato, in questo variegato scenario, tocca ai militanti del Movimento Federalista Europeo sapersi distinguere. Essi hanno l'unico scopo di offrire il proprio contributo alla costruzione della Federazione europea, facendo appello, prima ancora che al patrimonio ideologico del federalismo organizzato, alla capacità di autonomia nei confronti del mondo politico tradizionale.
Un'autonomia che si sostanzia tanto in termini di elaborazione di un rigoroso quadro teorico di riferimento (Albertini) che di definizione di una combattiva azione politica (Spinelli).
Un'autonomia che va oltre l'abiura del conformismo culturale e che mira alla costruzione di un processo identitario che coniugando, azione e pensiero, sconfigge i pericoli dell'alienazione e fa del militante federalista un protagonista, consapevole, della storia, della sua storia, della storia dell'umanità.
I due elementi, pensiero ed azione, sono indissolubilmente legati e definiscono in maniera del tutto originale lo spessore culturale, prima ancora che politico, dell'"orgoglio federalista".
Ogni buon militante, al di là delle proprie attitudini personali, tende ad essere un intellettuale ed un politico, non di professione, egli non trasforma le proprie capacità in fonte di guadagno personale, ma dell'intellettuale e del politico ambisci averne la professionalità. Egli, cioè, mira a pensare e ad agire secondo una dimensione scientifica che fa dell'approccio volontaristico una forza e non certo un limite.
Ogni buon militante federalista ha vissuto un proprio personalissimo momento elettivo, che nulla a che fare con la partecipazione formale agli organi di rappresentanza. Egli si sente realmente partecipe del Movimento solo quando ha la percezione che le proprie idee e il proprio contributo diventano un tutt'uno con quelle degli altri compagni di viaggio.
Quando si è nel dibattito, quando si avverte di aver preso confidenza con un autonomo linguaggio, quando si avverte che le proprie opinioni sono parte e condizione per lo sviluppo di un reale pensiero comune, solo in quell'istante, di cui ognuno di noi serba un personalissimo ricordo, solo allora ognuno di noi può dire di se stesso: sono un militante federalista.
Quando si è nell'azione, quando si avverte che il proprio ruolo di agitatore politico viene preso ad esempio da altri, dai giovani, quando si percepisce di aver loro offerto la vera occasione elettiva, è solo in quell'istante che un militante ha la netta percezione che il proprio lavoro non è stato vano e che altri sono pronti a continuare la battaglia federalista contro le forze della conservazione.
Oggi, come per il passato, la proposta federalista non è quella che ha le maggiori possibilità di essere realizzata, non è quella che trova il maggior favore dell'opinione pubblica, non è quella che giustifica le logiche di potere nazionale, non è quella che cerca il superficiale ed impalpabile favore della palude europeista, ma è quella che ha l'ambizione di far emergere il partito di coloro che vogliono, inequivocabilmente, l'unione politica dell'Europa su basi federali.
La fondazione dello stato europeo, quello stato che sarà la risultante della sua posizione di forza nel mondo e dei suoi rapporti interni e non certo la creazione empirica di decisioni di individui e di gruppi politici e sociali, non avrà solo una valore concreto ed immediato, ma avrà un significato tutto ideale, accertabile nella dimensione culturale che motiva in profondità la formazione del pensiero umano: la cultura della negazione politica della divisione del genere umano.
E' nel perseguimento di questo alto valore ideale, è nel dar forma al proprio destino, e con esso al destino dell'umanità, che ognuno di noi può a buon diritto dire: sono un militante federalista.
Campoleone, 26 marzo 2009
*Intervento al Congresso di Catania del MFE
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