Campoleoene 28 ottobre 2007
Nella sconfinata produzione scientifica di Noberto Bobbio non mancano iriferimenti al federalismo, quale corrente culturale e politica nata durantela Resistenza, e al concetto di Stato federale, tanto regolatore deiconflitti che forma politica di un ordine superiore.
Anche nella sua Autobiografia (1), al capitolo VII, Bobbio dedica attenzionealla questione dei rapporti tra Stato federale e pace. La gran parte deisuoi scritti in tema sono raccolti in due volumi: Il problema della guerra ele vie della pace (Il Mulino, Bologna, 1979) e Il Terzo Assente (Sonda,Torino, 1989).
Bobbio racconta della sua partecipazione alla prima Marcia della PacePerugia-Assisi in cui presero la parola, tra gli altri, il promotoredell’iniziativa Aldo Capitini, oltre a Arturo Carlo Jemolo, Ernesto Rossi Renato Guttuso. Una antica conoscenza quella con l’ideatore della Marcia.
L’ingresso di Bobbio nell’antifascismo attivo avviene nel 1939 con la sua partecipazione alle riunioni del movimento liberalsocialista nato attorno a Guido Calogero, professore di filosofia all’università di Pisa ed Aldo Capitini stesso, già segretario della Scuola normale superiore.
Ricordando la prima Marcia del 24 settembre 1961, Bobbio definisce la dimensione della pace quale ordine istituzionale e giuridico ed il suo rapporto con il principio etico religioso della non violenza. Più precisamente, egli scrive:
“Per uno come me che ha vissuto gli anni della maturazione sotto un regime dispotico e durante una guerra durata cinque lunghi anni, i problemi urgenti, caduto il regime e finita la guerra sono soprattutto la democrazia e la pace, fra loro connessi da un medesimo intento: eliminare la violenza come mezzo per risolvere i conflitti sia all’interno di uno stesso Stato sia nel rapporto tra Stati nazionali.
Per quel che riguarda il problema internazionale, il primo passo da compiere era la federazione tra gli Stati europei, per scongiurare il ripetersi di quella che era stata giustamente chiamata la guerra civile europea, durata quasi un secolo. Gli Stati uniti d’Europa erano concepiti come prima fase di una federazione universale che avrebbe realizzato il sogno di Kant della pace perpetua.
L’unione di stati passa attraverso tre fasi successive: l’alleanza, la confederazione, lo Stato federale. Mentre la confederazione è una società di Stati, lo Stato federale è uno Stato di Stati. Le Nazioni Unite, il cui statuto è entrato in vigore il 25 ottobre 1945, rappresentano un passaggio intermedio fra la Società della nazioni, che aveva il carattere di pura associazione tra Stati nazionali, e gli Stati uniti del mondo, sogno ideale di un Superstato.
Il Superstato è un potere collocato al di sopra degli altri Stati, in possesso di una forza talmente superiore rispetto ai singoli Stati qual è quella che lo Stato nazionale possiede nei confronti dei singoli individui.
Per realizzare questo obiettivo è necessaria l’unione politica, l’unica che consenta al Superstato di usare la forza se necessario. Soltanto il Superstato può esercitare il monopolio della forza, trasformando un rapporto tra pari in un rapporto da superiore ad inferiore.
Vi sono due forme di pacifismo che non si escludono l’un l’altra: quello istituzionale o giuridico e quello etico religioso. Il primo mira all’eliminazione della guerra fra Stati sovrani attraverso l’unione di singoli Stati in un Superstato, il secondo attraverso l’educazione alla non violenza. I miei scritti sulla pace e la guerra appartengono prevalentemente al primo. La Marcia della Pace, promossa da Capitini, era, invece, una tipica espressione del secondo.
La differenza tra i due pacifismi è evidente: il Superstato elimina la guerra ma non l’uso della forza come extrema ratio; l’educazione alla non violenza tende all’eliminazione dell’uso della forza anche come extrema ratio. L’uno è meno efficace ma più realistico. Il secondo è più efficace ma è anche più irrealistico.”
Parole di una chiarezza cristallina su cui, da federalisti, non si può che concordare nella consapevolezza che il MFE per sopravvivere e per guardare con fiducia al proprio avvenire ha bisogno di continuare a coltivare i grandi ideali. Ma non ha bisogno di inventare nulla. Ha bisogno soltanto di restare fedele alla propria storia.
Nicola Forlani
(1) Noberto Bobbio, Autobiografia, a cura di Alberto Papuzzi, Editori
Laterza, Bari, 2004
mercoledì 7 gennaio 2009
Al rialZO
Campoleone, 27 ottobre 2007
I 18 si sono detti disponibili solo per un testo al rialzo. Da “costituzione” la chiameranno “COSTITUZIONE”?
Al di la della facile battuta, ma che sgorga sinceramente dal cuore, l’incontro di Madrid segna un punto di non ritorno. Il negoziato intergovernativo sul Tce è ufficialmente aperto e chi sa che non sia già in fase più avanzata di quello che possiamo immaginare.
Il dottor sottile di sicuro ne dovrebbe sapere qualcosa più di noi. Occorre sperare che più che il nome si riesca a salvare la sostanza del trattato, essenziale per dare stabilità all’Unione a 27, con l’auspicio che l’infortunio francese possa chiudersi ben prima della primavera del 2009. Prima che la disaffezione dell’opinione pubblica per questa Europa delle ambiguità non sommerga, con un’affluenza ridotta ai minimi termini, l’istituto dell’elezione diretta al Parlamento europeo.
Il processo costituzionale europeo si è di fatto aperto sin dal 1957 e il trattato che istituisce una “cosa emendata” per l’Europa né sarà uno degli strumenti giuridici. Cos’è il trattato di Roma se non la prima costituzione imperfetta? Tra l’altro, dal ’57 ad oggi si sono superati ostacoli ben maggiori di quelli frapposti dalla scellerata scelta di Chirac di sottoporre il trattato a referendum.
Ora il problema è capire se le “Mancanze d’Europa”, lucidamente evidenziate da Tommaso Padoa Schioppa in occasione della Lecture Spinelli del 17 gennaio 2007 (Globalizzazione, Energia, Finanza) da curare, come egli sostiene, “con la scelta consapevole del modello federale”, ma aggiungendo poi, ”Una scelta che non si traduce in realtà senza una discontinuità nell’assetto costituzionale”, stiano li a sottolineare come la visionaria prospettiva della Federazione nell’Unione, degli Stati Uniti nell’Europa, sia già ben più consolidata di quello che potrebbe apparire. Si aggiunga infine che “l’Europa dei progetti” altro non è che la riflessione di Padoa Schioppa in chiave intergovernativa. Se così fosse ci attenderebbero tempi di grandi novità, ad iniziare dal MFE stesso.
Nicola Forlani
Tommaso Padoa Schioppa – Mancanze d’Europa – 17 gennaio 2007
http://www.csfederalismo.it/User/Convegni/seminari/Intervento%20Ministro%20P
adoa-Schioppa.pdf
I 18 si sono detti disponibili solo per un testo al rialzo. Da “costituzione” la chiameranno “COSTITUZIONE”?
Al di la della facile battuta, ma che sgorga sinceramente dal cuore, l’incontro di Madrid segna un punto di non ritorno. Il negoziato intergovernativo sul Tce è ufficialmente aperto e chi sa che non sia già in fase più avanzata di quello che possiamo immaginare.
Il dottor sottile di sicuro ne dovrebbe sapere qualcosa più di noi. Occorre sperare che più che il nome si riesca a salvare la sostanza del trattato, essenziale per dare stabilità all’Unione a 27, con l’auspicio che l’infortunio francese possa chiudersi ben prima della primavera del 2009. Prima che la disaffezione dell’opinione pubblica per questa Europa delle ambiguità non sommerga, con un’affluenza ridotta ai minimi termini, l’istituto dell’elezione diretta al Parlamento europeo.
Il processo costituzionale europeo si è di fatto aperto sin dal 1957 e il trattato che istituisce una “cosa emendata” per l’Europa né sarà uno degli strumenti giuridici. Cos’è il trattato di Roma se non la prima costituzione imperfetta? Tra l’altro, dal ’57 ad oggi si sono superati ostacoli ben maggiori di quelli frapposti dalla scellerata scelta di Chirac di sottoporre il trattato a referendum.
Ora il problema è capire se le “Mancanze d’Europa”, lucidamente evidenziate da Tommaso Padoa Schioppa in occasione della Lecture Spinelli del 17 gennaio 2007 (Globalizzazione, Energia, Finanza) da curare, come egli sostiene, “con la scelta consapevole del modello federale”, ma aggiungendo poi, ”Una scelta che non si traduce in realtà senza una discontinuità nell’assetto costituzionale”, stiano li a sottolineare come la visionaria prospettiva della Federazione nell’Unione, degli Stati Uniti nell’Europa, sia già ben più consolidata di quello che potrebbe apparire. Si aggiunga infine che “l’Europa dei progetti” altro non è che la riflessione di Padoa Schioppa in chiave intergovernativa. Se così fosse ci attenderebbero tempi di grandi novità, ad iniziare dal MFE stesso.
Nicola Forlani
Tommaso Padoa Schioppa – Mancanze d’Europa – 17 gennaio 2007
http://www.csfederalismo.it/User/Convegni/seminari/Intervento%20Ministro%20P
adoa-Schioppa.pdf
A pensar male si commette peccato, ma
Campoleoene, 11 ottobre 2007
Se per costruire la Federazione europea fosse sufficiente far passeggiareper i vicoli di Ventotene i rappresentati più autorevoli del mondo politico ed economico occorrerebbe prendere in esame l’eventualità di trasformare il Movimento federalista in un’agenzia di promozione turistica.
E’ del tutto evidente che la visita di Veltroni non sarà ricordata come un evento di portata storica nel processo di integrazione. Così come è altrettanto evidente come alla luce l’impellente necessità di una comparsata, ad uso e consumo delle fedeli telecamere del TG1 e con tanto di giovani festanti e gaudenti, sia decisamente preferibile che la sceneggiata vada in onda da quel di Ventotene che non da Pantelleria, piuttosto che dalla Capraia o da Panarea.
Eppure una qualche lettura politica deve pur essere tentata. Se è stata fatta questa scelta qualche motivo, probabilmente poco visibile ai puri d’animo, deve esistere.
I comizi per le primarie del Partito democratico si chiudono tassativamente venerdì 12 ottobre. Sabato è il giorno di riflessione prima del voto e i candidati sono tenuti ad interrompere la campagna elettorale. Pertanto la visita a Ventotene non è da considerarsi quale evento conclusivo di un bel nulla. E’ una passeggiata privata dal valore simbolico. E allora, se un messaggio vuol essere lanciato a chi e diretto e perché?
Facciamo un passo indietro. Napolitano ha scelto la commemorazione di Spinelli nel luogo del suo confino quale prima uscita pubblica del suo settennato. A questo si aggiunga che a favore di Veltroni si è schierato tutto l’establishment ulivista tranne, guarda un po’, il figlioccio politico del Presidente della Repubblica, l’onorevole Umberto Ranieri. Nella decisione assunta dal Presidente della Commissione affari esteri di correre con e per Enrico Letta è quindi difficile non leggere un orientamento, più o meno palese del Colle, in relazione al processo costituente del nuovo soggetto politico.
Orbene Veltroni, avendo l’accortezza di non tirare in ballo Napolitano a campagna elettorale ancora aperta, si reca nel luogo simbolo dell’interesse presidenziale. Il gesto può avere due distinte letture, ma entrambi veritiere. E’ probabile che da un lato egli voglia omaggiare l’orientamento europeista di Napolitano recandosi a baciare l’anello e a testimoniare professione di fede. Dall’altro egli potrebbe voler raccogliere, motu proprio, quell’imprimatur che non gli era sin qui giunto dal Colle. In concreto, nello stesso tempo, potrebbe lasciar intendere due concetti: sono
con te, ma posso fare anche a meno di te.
Questa lettura dei fatti è incentrata su tristi giochi di potere e lascia poco spazio all’Europa, al progetto federalista, alla memoria di Altiero, all’evoluzione culturale del comunismo militante italiano. Altre partite si stanno giocando, e su altri piani. Costituito il Partito democratico è probabile che si assisterà ad un ampio rimescolamento delle carte. Alcuni di questi rivolgimenti potrebbero prevedere anche la sciagurata ipotesi di dimissioni anticipate del Presidente della Repubblica, ovviamente per motivi di età. A pensar male si commette peccato, ma …quasi sempre ci si azzecca.
Nicola Forlani
Se per costruire la Federazione europea fosse sufficiente far passeggiareper i vicoli di Ventotene i rappresentati più autorevoli del mondo politico ed economico occorrerebbe prendere in esame l’eventualità di trasformare il Movimento federalista in un’agenzia di promozione turistica.
E’ del tutto evidente che la visita di Veltroni non sarà ricordata come un evento di portata storica nel processo di integrazione. Così come è altrettanto evidente come alla luce l’impellente necessità di una comparsata, ad uso e consumo delle fedeli telecamere del TG1 e con tanto di giovani festanti e gaudenti, sia decisamente preferibile che la sceneggiata vada in onda da quel di Ventotene che non da Pantelleria, piuttosto che dalla Capraia o da Panarea.
Eppure una qualche lettura politica deve pur essere tentata. Se è stata fatta questa scelta qualche motivo, probabilmente poco visibile ai puri d’animo, deve esistere.
I comizi per le primarie del Partito democratico si chiudono tassativamente venerdì 12 ottobre. Sabato è il giorno di riflessione prima del voto e i candidati sono tenuti ad interrompere la campagna elettorale. Pertanto la visita a Ventotene non è da considerarsi quale evento conclusivo di un bel nulla. E’ una passeggiata privata dal valore simbolico. E allora, se un messaggio vuol essere lanciato a chi e diretto e perché?
Facciamo un passo indietro. Napolitano ha scelto la commemorazione di Spinelli nel luogo del suo confino quale prima uscita pubblica del suo settennato. A questo si aggiunga che a favore di Veltroni si è schierato tutto l’establishment ulivista tranne, guarda un po’, il figlioccio politico del Presidente della Repubblica, l’onorevole Umberto Ranieri. Nella decisione assunta dal Presidente della Commissione affari esteri di correre con e per Enrico Letta è quindi difficile non leggere un orientamento, più o meno palese del Colle, in relazione al processo costituente del nuovo soggetto politico.
Orbene Veltroni, avendo l’accortezza di non tirare in ballo Napolitano a campagna elettorale ancora aperta, si reca nel luogo simbolo dell’interesse presidenziale. Il gesto può avere due distinte letture, ma entrambi veritiere. E’ probabile che da un lato egli voglia omaggiare l’orientamento europeista di Napolitano recandosi a baciare l’anello e a testimoniare professione di fede. Dall’altro egli potrebbe voler raccogliere, motu proprio, quell’imprimatur che non gli era sin qui giunto dal Colle. In concreto, nello stesso tempo, potrebbe lasciar intendere due concetti: sono
con te, ma posso fare anche a meno di te.
Questa lettura dei fatti è incentrata su tristi giochi di potere e lascia poco spazio all’Europa, al progetto federalista, alla memoria di Altiero, all’evoluzione culturale del comunismo militante italiano. Altre partite si stanno giocando, e su altri piani. Costituito il Partito democratico è probabile che si assisterà ad un ampio rimescolamento delle carte. Alcuni di questi rivolgimenti potrebbero prevedere anche la sciagurata ipotesi di dimissioni anticipate del Presidente della Repubblica, ovviamente per motivi di età. A pensar male si commette peccato, ma …quasi sempre ci si azzecca.
Nicola Forlani
Per fondare lo stato federale europeo
Campoleoene, 25 settembre 2007
La prossima riunione informale del Consiglio europeo si terrà a Lisbona il 18/19 ottobre. Con buona probabilità, in questa sede, dovrebbe rilanciarsi il processo d integrazione attraverso al sottoscrizione di un Trattato di riforma che, nella buona sostanza, riprenderà le principali novità istituzionali già previste dal Trattato costituzionale bocciato due anni or sono nelle tornate referendarie in Francia e nei Paesi Bassi.
Anche di fronte il farraginoso compromesso politico su cui si sono esercitati i principali leader dei paesi membri, l’Unione risulta ancora del tutto inadeguata ad affrontare le grandi sfide su scala planetaria: approvvigionamento energetico e gestione delle risorse ambientali; terrorismo internazionale e presenza propositiva nei principali scenari di crisi internazionale; mercati finanziari e concorrenza globale.
La strada dell’integrazione differenziata, dell’Europa a due velocità, della federazione nell’Unione inizia ad essere sostenuta da molti commentatori, esperti e rappresentati politici ed istituzionali. Tra tutti basti ricordare le posizioni ultimamente espresse dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Se si vuol costruire un’Europa capace di agire occorre dar vita all’interno dell’Unione europea ad un’avanguardia di paesi che vogliano tra loro stringere un Patto federale. Alcuni stati devono dichiararsi disposti a cedere, una volta e per sempre, la propria sovranità ad un costituendo potere europeo. In conseguenza di tale patto occorrerà rimettere ad una nuova Convenzione con poteri costituenti il compito di stabilire in termini costituzionali i rapporti tra i poteri della federazione e quelli degli stati membri.
L’Italia, ad iniziare da Spinelli e De Gasperi, ha svolto un ruolo propulsivo all’interno del processo di integrazione europea. L’Italia, paese fondatore della Comunità, può e deve rinnovare il proprio impegno attraverso lo sviluppo di una forte iniziativa europea tesa a rinnovare l’impegno costituende dei padri fondatori: la costituzione di un’Unione politica su basi federali.
Per tali ambiziosi obiettivi occorre che le persone di buona volontà sappiano ritrovarsi nei momenti di aggregazione dei nuovi soggetti politici. Costoro desiderano riaffermare come per il nostro paese interesse nazionale ed interesse europeo siano due prospettive assolutamente coincidenti.
Un tema di interesse storico come la fondazione dello Stato federale europeo potrebbe contribuire ad arrestare il progressivo imbarbarimento della lotta politica. Per il passato l’Europa è stato un obiettivo su cui si sono incontrate persone anche di schieramenti politici opposti. Anche per il futuro l’Europa potrebbe essere un obiettivo trasversale su cui ricostruire un rinnovato spirito di patriottismo nazionale non più inteso come comunità di valore ma come comunità di destino.
Nicola Forlani
La prossima riunione informale del Consiglio europeo si terrà a Lisbona il 18/19 ottobre. Con buona probabilità, in questa sede, dovrebbe rilanciarsi il processo d integrazione attraverso al sottoscrizione di un Trattato di riforma che, nella buona sostanza, riprenderà le principali novità istituzionali già previste dal Trattato costituzionale bocciato due anni or sono nelle tornate referendarie in Francia e nei Paesi Bassi.
Anche di fronte il farraginoso compromesso politico su cui si sono esercitati i principali leader dei paesi membri, l’Unione risulta ancora del tutto inadeguata ad affrontare le grandi sfide su scala planetaria: approvvigionamento energetico e gestione delle risorse ambientali; terrorismo internazionale e presenza propositiva nei principali scenari di crisi internazionale; mercati finanziari e concorrenza globale.
La strada dell’integrazione differenziata, dell’Europa a due velocità, della federazione nell’Unione inizia ad essere sostenuta da molti commentatori, esperti e rappresentati politici ed istituzionali. Tra tutti basti ricordare le posizioni ultimamente espresse dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Se si vuol costruire un’Europa capace di agire occorre dar vita all’interno dell’Unione europea ad un’avanguardia di paesi che vogliano tra loro stringere un Patto federale. Alcuni stati devono dichiararsi disposti a cedere, una volta e per sempre, la propria sovranità ad un costituendo potere europeo. In conseguenza di tale patto occorrerà rimettere ad una nuova Convenzione con poteri costituenti il compito di stabilire in termini costituzionali i rapporti tra i poteri della federazione e quelli degli stati membri.
L’Italia, ad iniziare da Spinelli e De Gasperi, ha svolto un ruolo propulsivo all’interno del processo di integrazione europea. L’Italia, paese fondatore della Comunità, può e deve rinnovare il proprio impegno attraverso lo sviluppo di una forte iniziativa europea tesa a rinnovare l’impegno costituende dei padri fondatori: la costituzione di un’Unione politica su basi federali.
Per tali ambiziosi obiettivi occorre che le persone di buona volontà sappiano ritrovarsi nei momenti di aggregazione dei nuovi soggetti politici. Costoro desiderano riaffermare come per il nostro paese interesse nazionale ed interesse europeo siano due prospettive assolutamente coincidenti.
Un tema di interesse storico come la fondazione dello Stato federale europeo potrebbe contribuire ad arrestare il progressivo imbarbarimento della lotta politica. Per il passato l’Europa è stato un obiettivo su cui si sono incontrate persone anche di schieramenti politici opposti. Anche per il futuro l’Europa potrebbe essere un obiettivo trasversale su cui ricostruire un rinnovato spirito di patriottismo nazionale non più inteso come comunità di valore ma come comunità di destino.
Nicola Forlani
I diritti d Libertà - Una strada per giungere alla Federazione europea?
Campoleoene, 16 settemrbe 2007
RITORNARE AL DIBATTITO TEORICO
Il Trattato che adotta una costituzione per l’Europa, sottoscritto a Roma il29 ottobre 2004, non entrerà mai in vigore ed verrà dimenticato tra gliscaffali di ostinati studiosi di cose europee. Eppure, il dibattito che haanimato esperti e commentatori negli ultimi anni ha evidenziato una serie diproblematiche di carattere teorico, e non solo, che si riproporranno ogniqual volta si dovranno valutare le proposte che avranno l’ambizione dipromuovere una maggiore integrazione politica del continente su basifederali.
Quattro sono di sicura importanza: 1) la garanzia costituzionale dei dirittie delle libertà fondamentali quale fattore di legittimazione democratica delnuovo ente. 2) La natura giuridica del documento che sarà alla base della nuovo ordinamento. Costituzione in senso proprio o trattato internazionale rivestito di un lessico costituzionale. 3) Gli attributi di statualità rintracciabili nel nuovo ordinamento: sovranità, potestà di imperio, territorio, popolo, competenze, cittadina, centralizzazione e decentralizzazione. 4) Le modalità di produzione giuridica del nuovo ordinamento: apparato istituzionale ed organizzativo, legislazione ed esecuzione.
Su questi temi coltivare l’esercizio puramente teorico potrebbe rivelarsi un’attività non certo fine a se stessa. La codificazione e la classificazione per astrazioni lessicali potrà consentire di attrezzare, attraverso il dibattito, una visione sufficientemente coincidente tale da consentire, per il futuro, la definizione di una linea strategia coesa e, oggettivamente, condivisa.
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LA GARANZIA DEI DIRITTI ALL’INTERNO DEGLI ORDINAMENTI COSTITUZIONALI
Il Trattato di riforma, che a breve probabilmente sarà sottoscritto nella città di Lisbona, riprenderà, con effetti giuridicamente vincolanti, la Carta dei diritti fondamentali. In tema di diritti di libertà un aspetto poco approfondito riguarda la funzione stessa dell’elencazione dei diritti all’interno delle moderne costituzioni.
Dieter Grimm, giurista, nonché ex presidente della Corte costituzionale tedesca, sostiene che non è sufficiente l’esame del catalogo dei diritti fondamentali per stabilire se uno stato si possa, o no, fregiare della definizione di stato sociale. La Germania fornisce al riguardo l'esempio più chiaro. La Legge fondamentale ha rinunciato deliberatamente alla menzione dei diritti sociali fondamentali, accontentandosi di proclamare i classici diritti di libertà. Questo non equivale a sostenere che la Repubblica federale possiede le caratteristiche di uno Stato sociale in misura minore della Repubblica di Weimar, la cui costituzione conteneva una pletora di diritti fondamentali.
Hans Kelsen ne “I lineamenti di teoria generale dello Stato”, pubblicati nel 1926, dedica alla questione un’intera lezione di cui si ripropongono due estratti. Sostiene l’autore: “ Le moderne costituzioni, di regola, contengono infatti un catalogo di siffatti diritti di libertà. Sorti storicamente dalla rappresentazione naturalistica di norme assolute, limitanti lo Stato, derivanti da un’istanza dello Stato, esse – come contenuto di diritto positivo – sono norme dello Stato.
In quanto si presentano come norme che vietano allo Stato certe invadenze nella sfera delle libertà dei sudditi, questi diritti di libertà sono per lo meno superflui. E’ infatti privo di senso proibire atti dello Stato i quali, finché non vengono esplicitamente comandati, finché certi essere umani quali organi dello Stato non siano autorizzati a compierli, cioè ne vengono obbligati, giuridicamente addirittura non sono possibili. L’essere umano può fare tutto ciò che non gli è vietato dallo Stato, cioè dall’ordinamento giuridico.
Lo Stato, cioè l’essere umano quale organo statale, può fare soltanto ciò che l’ordinamento giuridico espressamente gli permette. … Con chiarezza appare la superfluità di siffatte codificazioni dei diritti di libertà quando esse, come spesso accade, assumono la forma per cui invadenze dello Stato in determinate sfere di libertà possono essere effettuate solo
sulla base della legge”.
IL DIRITTO ALLA VITA E LA PENA DI MORTE. UN CASO EMBLEMATICO
Nell’articolo II-62 del Trattato costituzionale (TC) si afferma, “Ogni persona ha diritto alla vita”. E’ evidente la sostanziale indeterminatezza della proposizione di principio. Il diritto alla vita ha effettivo valore e possibilità di applicazione solo e in quanto analizzato in rapporto alle potestà attribuite all’ordinamento nazionale o sovrannazionale. L’interruzione di gravidanza, le malattie terminali, l’eutanasia, e persino l’obbligo di difesa militare dello stato relativizzano il diritto genericamente affermato, con altri, in forma di catalogo.
Pertanto la sommatoria delle cose che per legge, costituzionale o ordinaria, sono consentite all’ordinamento statale, e per il suo tramite ai cittadini, in materia di diritto alla vita (diritto civile, penale, di famiglia, del lavoro) determinano, di fatto, il principio e il suo ambito di applicazione. Innumerevoli sono gli altri esempi. Il diritto alla salute (art. II-95 del TC) è tale solo ed in quanto è possibile tutelarlo all’interno del sistema sanitario nazionale (pubblico, privato, a pagamento o a spese dello stato).
Solo attraverso l’applicazione del principio di bilanciamento dei beni si può fissare il parametro che consente la determinazione del contenuto di questi beni e nel computo dei limiti dei diritti fondamentali. Peter Häberle, probabilmente il maggior teorico del contenuto essenziale dei diritti fondamentali, nella sua opera “Le libertà fondamentali nello Stato costituzionale”, tradotta in italiano per le edizioni Carocci, precisa: “ Il legislatore nel concretizzare i limiti immanenti ai diritti fondamentali, non vulnera questi ultimi, non li relativizza, bensì li rafforza e li garantisce, o piuttosto li determina … non disciplina un diritto che si pone in contrasto con il sistema dei valori dei diritti fondamentali , bensì da
attuazione a questi ultimi.”.
Ma il legislatore è colui che opera prioritariamente per legge ordinaria, il rappresentante politico della volontà popolare diffusa, colui che determinerà positivamente insieme alla ponderazione dei principi e dei valori l’attuazione stessa di un complesso di norme ordinanti potestà attribuite allo Stato, ad esempio in tema di aborto. A meno che in un catalogo di diritti non si vieti, espressamente, la pratica dell’aborto, non c’è principio attualmente presente nelle costituzioni o nelle carte dei diritti che possa far ricomprendere, inequivocabilmente, l’aborto quale pratica contraria al diritto alla vita. Anzi, è vero giusto il contrario.
Per Ulpiano, Digesto, “nulla poena sine lege”. La seconda frase dell’articolo II-62 del Trattato costituzionale recita: “nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato”. Il confronto con l’articolo 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) in tema di diritto alla vita, ci consente di valutare gli elenchi di diritti nella loro rappresentazione storica. L’art. 2 CEDU, infatti, stabilisce che “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nei casi in cui il delitto sia punito dalla legge con tale pena”.
Ricordiamo che l’apertura della firma della CEDU è avvenuta a Roma il 4 novembre 1950 ed è entrata in vigore, alla condizione di 10 ratifiche, il 3 settembre 1953, mentre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata proclamata a Nizza il 7 settembre del 2000.
Nel 1950 in alcuni paesi europei si eseguivano ancora condanne capitali. In Gran Bretagna l’ultima esecuzione è del 1964 e la pena di morte è stata abolita definitivamente il 31 luglio 1998. L’ultima sentenza in Francia è del 10 settembre 1977, Hamida Djandoubi la donna giustiziata. La pena di morte in Francia è stata proibita per legge da Mitterandt nel 1981 e definitivamente nella Costituzione nel 2007.
La Costituzione italiana, non prevede la pena capitale, esclusi i casi regolati dalle leggi militari di guerra (comma 4, art. 27). Fortunatamente il codice militare di guerra, con legge 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena. Esiste però un vuoto costituzionale: non è stato ancora sancito il principio che vieta la pena di morte in ogni caso. Pertanto, sarebbe possibile una sua reintroduzione per legge ordinaria.
Ad esempio, con la stesso decreto del Presidente della Repubblica sulla dichiarazione dello stato di guerra. Ipotesi per nulla peregrina visto che il decreto legge 1° dicembre 2001 n. 421, convertito in legge 31 gennaio 2002, n 6, recante norme urgenti per la partecipazione di personale militare all'operazione multinazionale denominata "Enduring Freedom", ha previsto che al Corpo di spedizione italiano si applicasse il codice penale militare di guerra, con esclusione delle disposizioni di natura processuale, ancorché in tempo di pace.
Solo dopo l’abolizione della pena di morte nei più influenti stati europei, Gran Bretagna e Francia in testa, viene introdotto il relativo principio nella CEDU. Prima con il protocollo 6 (1) firmato a Strasburgo il 28/04/1983, che in ogni caso non esclude la pena capitale per atti commessi in tempo di guerra o di pericolo imminente di guerra, e successivamente con il protocollo 13 (2). Quest’ultimo abolisce la pena in ogni circostanza con una formulazione del tutto simile al corrispondente articolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.
LA CODIFICAZIONE DEI DIRITTI NELLO SPAZIO E NEL TEMPO
Il protocollo 13 alla Convenzione, firmato a Vilnius il 3 maggio 2002, quasi due anni dopo la proclamazione della Carta Ue a Nizza, a tutt’oggi risulta firmato, ma non ancora ratificato, da Italia e Francia, in buona compagnia di Spagna, Lettonia, Polonia e Armenia. Sui 47 stati membri del Consiglio d’Europa, Arzebaijan e Russia non l’hanno firmato. La Russia è l’unico stato a non aver ancora ratificato anche il protocollo 6 alla Convenzione.
Nel caso italiano occorre evidenziare che la ratifica del protocollo 13 comporterebbe la modifica dell’art. 27 della Costituzione che ancora consente il ricorso alla pena capitale nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. La questione è oltremodo spinosa. In caso di non raggiungimento della maggioranza dei 2/3 sulla legge costituzionale di modifica potrebbe essere richiesto un referendum confermativo. Si può ben immaginare quale canaia qualunquista e demagogica si andrebbe ad alimentare nell’opinione pubblica.
In epoca contemporanea le carte dei principi rappresentano una codificazione del presente storico, ad iniziare dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’Umani firmata a Parigi il 10 dicembre 1948, promossa dall’assemblea generale delle Nazioni Unite e priva di valore giuridicamente vincolante per gli stati membri. Gli elenchi di principi sono più lo specchio di una dato di fatto, una classificazione sul minimo comun denominatore possibile rispetto a condizioni oggettive, siano esse politiche che di potere, che non un segno di progresso rispetto a fini di maggiore civilizzazione ancora da raggiungere a valore trascendente.
A livello internazionale tali codificazioni più che promuovere nuove tutele rappresentano sottoscrizioni di diritti che hanno già ampio riconoscimento negli ordinamenti giuridici nazionali. Le poche eccezioni che possono essere sollevate non fanno che confermare la regola generale. Altra questione è la funzione di elenchi di diritti in fasi storiche di natura rivoluzionaria, come la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino del 1789.
Peter Häberle chiarisce il concetto quando sostiene (3): “Se si devono concretizzare la costituzione come un sistema di valori (Wertsystem) e il Grundgesetz come un ordinamento legato a dei valori, allora questi non devono essere interpretati come un firmamento astratto. I valori non vengono imposti alla costituzione e all’ordinamento giuridico dall’esterno oppure dall’alto. Non hanno la pretesa di essere validi comunque e a priori, senza alcun riferimento allo spazio e al tempo in cui si trovano. Ciò sarebbe contrario al senso della costituzione, che rappresenta un ordinamento complessivo della vita del presente e che deve fare riferimento alla
caratteristiche peculiari di questo presente e coordinare le forze vitali di
un’epoca nell’ambito di un sistema unitario.”
LE LIBERTA’ FONDAMENTALI E I DIRITTI DI CITTADINANZA NELL’UE
Le classiche libertà fondamentali dell’Unione europea (art.I-4 del TC, attuali artt. 12 e 14 TCE) libertà di circolazione delle persone, dei servizi, delle merci, dei capitali e libertà di stabilimento trovano nel trattato stesso le norme che ne disciplinano la tutela e l’attuazione. Non viene solo richiamato il principio (artt. II-99, II-100, II-105, II-106 del TC) secondo il quale lo Stato membro non può impedire la circolazione delle persone alle sue frontiere (anche qui con eccezioni disciplinate sempre dalla legge), ma si specifica, sin nei minimi particolari, ciò che all’ordinamento dell’Unione è consentito o per cui vi è obbligo giuridico in
materia. Nel trattato costituzionale i diritti fondamentali sono disciplinati dagli artt. III-130 a III-160. Tutte politiche che trovano la loro base giuridica già nei trattati attualmente in vigore.
Nel caso delle quattro libertà fondamentali, al principio generale vengono associate le politiche e le disposizione di applicazione in capo all’ordinamento giuridico comunitario. Politiche definite in base al principio di attribuzione delle competenze enumerate. Identico ragionamento può essere sviluppato anche per i diritti di cittadinanza di natura politica (elettorato attivo e passivo per l’elezioni al Parlamento europeo e allo elezioni comunali dello stato membro di residenza, tutela diplomatica all’estero, diritto di petizione al Parlamento europeo, diritto di ricorso al Mediatore europeo) che trovano tutti applicazione nel quadro delle politiche comunitarie secondo il principio di attribuzione.
Pertanto, l’affermazione di un principio all’interno della Carta dei diritti fondamentali (parte II del trattato costituzionale) non introduce affatto competenze nuove. Per inverso nel caso di competenze già attribuite all’Unione si possono rintracciare riferimenti di principio all’interno della Carta. Se la Carta affermasse il diritto alla casa questo non vorrebbe dire che tutti i cittadini europei possono chiedere un alloggio alla Commissione europea, a meno che l’Unione non attribuisse esplicitamente tale competenza alla Commissione.
La disciplina stessa di applicazione della Carta è chiaramente definita nell’art. II-111 del Trattato costituzionale dove al comma due si afferma “La presente Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze ed i compiti definiti nelle altre parti della Costituzione”.
COMPETENZE E CRITERI DI DETERMINAZIONE
Per il futuro, senza tralasciare i pur importanti aspetti giurisprudenziali, dichiarativi o interpretativi, dei diritti stabiliti per elenchi (per loro natura spesso insufficienti, lacunosi e tardivi), è auspicabile concentrare maggiore attenzione alle più derimente questione delle competenze (esclusive, concorrenti o complementari), ma ancor di più sui criteri di determinazione delle competenze (di attribuzione, di sussidiarietà, di prossimità, di proporzionalità). E’ in tale ambito che si potrà valutare l’effettiva portata degli elementi innovativi.
Il principio di competenza enumerata, tipico degli organismi internazionali trova fonte costitutiva nei trattati, mentre il principio di competenza generalista (non caso per caso), in capo allo stato, trova fonte costitutiva nella costituzioni propriamente dette. Nel sistemi federali la ripartizione delle competenze avviene per aree (difesa, concorrenza, sanità, giustizia ecc.) o attraverso l’individuazione degli organismi decisionali responsabili. Nel sistema europeo si stabiliscono non solo le aree di competenza ma le istituzioni competenti, le procedure decisionali e spesso anche gli obiettivi che devono essere perseguiti e le azioni che possono essere svolte nell’abito delle singole politiche. Il trattato costituzionale non modifica per nulla questo equilibrio. Anzi, stabilisce inequivocabilmente all’art. I-1 che “ …la presente Costituzione istituisce l’Unione europea, alla quale gli Stati membri attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni..” Infatti, la parte III del trattato descrive dettagliatamente le singole politiche, riprendendo, quasi sempre, in maniera integrale le disposizione dei trattati attualmente in vigore.
Paradossalmente la cancellazione della parte III del trattato costituzionale, in buona sostanza di cinquant’anni di storia comunitaria, ed una riformulazione delle categorie di competenze con l’inclusione della politica energetica, estera e di difesa tra le materie esclusive avrebbe consentito all’Unione il salto federale. Si sarebbero definite solo le aree di competenza senza nessuna enumerazione pedissequa della delega degli Stati all’Unione. Ciò corrisponderebbe ad una rivoluzione copernicana, al superamento della legittimazione negoziale e funzionale, ad una completa rifondazione dell’ordinamento giuridico sovrannazionale, alla cessione effettiva della sovranità nazionale, alla costituzione, di fatto, dello Stato europeo.
In altre parole, il potere reale, su una determinata materia (competenza), contemplata anche e non sempre all’interno di un catalogo di diritti (beni giuridici), a chi (organo nazionale o sovrannazionale) è attribuito? Se l’ultima parola resta in mano agli Stati siamo in una confederazione. Se è attribuita all’Unione siamo in una federazione. E’ solo su questo piano che si potrà realmente rafforzare la legittimazione democratica dell’Europa e con essa la prospettiva di traguardare l’obiettivo della fondazione dello Stato federale.
Nicola Forlani
(1) Protocollo n° 6 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali sull'abolizione delle pena di morte. http://conventions.coe.int/Treaty/ita/Treaties/Html/114.htm
(2) Protocollo n° 13 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali relativo all'abolizione delle pena di morte in ogni circostanza.
(3) P. Häberle, Le libertà fondamentali nello stato costituzionale, Carocci, Roma, 2005
RITORNARE AL DIBATTITO TEORICO
Il Trattato che adotta una costituzione per l’Europa, sottoscritto a Roma il29 ottobre 2004, non entrerà mai in vigore ed verrà dimenticato tra gliscaffali di ostinati studiosi di cose europee. Eppure, il dibattito che haanimato esperti e commentatori negli ultimi anni ha evidenziato una serie diproblematiche di carattere teorico, e non solo, che si riproporranno ogniqual volta si dovranno valutare le proposte che avranno l’ambizione dipromuovere una maggiore integrazione politica del continente su basifederali.
Quattro sono di sicura importanza: 1) la garanzia costituzionale dei dirittie delle libertà fondamentali quale fattore di legittimazione democratica delnuovo ente. 2) La natura giuridica del documento che sarà alla base della nuovo ordinamento. Costituzione in senso proprio o trattato internazionale rivestito di un lessico costituzionale. 3) Gli attributi di statualità rintracciabili nel nuovo ordinamento: sovranità, potestà di imperio, territorio, popolo, competenze, cittadina, centralizzazione e decentralizzazione. 4) Le modalità di produzione giuridica del nuovo ordinamento: apparato istituzionale ed organizzativo, legislazione ed esecuzione.
Su questi temi coltivare l’esercizio puramente teorico potrebbe rivelarsi un’attività non certo fine a se stessa. La codificazione e la classificazione per astrazioni lessicali potrà consentire di attrezzare, attraverso il dibattito, una visione sufficientemente coincidente tale da consentire, per il futuro, la definizione di una linea strategia coesa e, oggettivamente, condivisa.
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LA GARANZIA DEI DIRITTI ALL’INTERNO DEGLI ORDINAMENTI COSTITUZIONALI
Il Trattato di riforma, che a breve probabilmente sarà sottoscritto nella città di Lisbona, riprenderà, con effetti giuridicamente vincolanti, la Carta dei diritti fondamentali. In tema di diritti di libertà un aspetto poco approfondito riguarda la funzione stessa dell’elencazione dei diritti all’interno delle moderne costituzioni.
Dieter Grimm, giurista, nonché ex presidente della Corte costituzionale tedesca, sostiene che non è sufficiente l’esame del catalogo dei diritti fondamentali per stabilire se uno stato si possa, o no, fregiare della definizione di stato sociale. La Germania fornisce al riguardo l'esempio più chiaro. La Legge fondamentale ha rinunciato deliberatamente alla menzione dei diritti sociali fondamentali, accontentandosi di proclamare i classici diritti di libertà. Questo non equivale a sostenere che la Repubblica federale possiede le caratteristiche di uno Stato sociale in misura minore della Repubblica di Weimar, la cui costituzione conteneva una pletora di diritti fondamentali.
Hans Kelsen ne “I lineamenti di teoria generale dello Stato”, pubblicati nel 1926, dedica alla questione un’intera lezione di cui si ripropongono due estratti. Sostiene l’autore: “ Le moderne costituzioni, di regola, contengono infatti un catalogo di siffatti diritti di libertà. Sorti storicamente dalla rappresentazione naturalistica di norme assolute, limitanti lo Stato, derivanti da un’istanza dello Stato, esse – come contenuto di diritto positivo – sono norme dello Stato.
In quanto si presentano come norme che vietano allo Stato certe invadenze nella sfera delle libertà dei sudditi, questi diritti di libertà sono per lo meno superflui. E’ infatti privo di senso proibire atti dello Stato i quali, finché non vengono esplicitamente comandati, finché certi essere umani quali organi dello Stato non siano autorizzati a compierli, cioè ne vengono obbligati, giuridicamente addirittura non sono possibili. L’essere umano può fare tutto ciò che non gli è vietato dallo Stato, cioè dall’ordinamento giuridico.
Lo Stato, cioè l’essere umano quale organo statale, può fare soltanto ciò che l’ordinamento giuridico espressamente gli permette. … Con chiarezza appare la superfluità di siffatte codificazioni dei diritti di libertà quando esse, come spesso accade, assumono la forma per cui invadenze dello Stato in determinate sfere di libertà possono essere effettuate solo
sulla base della legge”.
IL DIRITTO ALLA VITA E LA PENA DI MORTE. UN CASO EMBLEMATICO
Nell’articolo II-62 del Trattato costituzionale (TC) si afferma, “Ogni persona ha diritto alla vita”. E’ evidente la sostanziale indeterminatezza della proposizione di principio. Il diritto alla vita ha effettivo valore e possibilità di applicazione solo e in quanto analizzato in rapporto alle potestà attribuite all’ordinamento nazionale o sovrannazionale. L’interruzione di gravidanza, le malattie terminali, l’eutanasia, e persino l’obbligo di difesa militare dello stato relativizzano il diritto genericamente affermato, con altri, in forma di catalogo.
Pertanto la sommatoria delle cose che per legge, costituzionale o ordinaria, sono consentite all’ordinamento statale, e per il suo tramite ai cittadini, in materia di diritto alla vita (diritto civile, penale, di famiglia, del lavoro) determinano, di fatto, il principio e il suo ambito di applicazione. Innumerevoli sono gli altri esempi. Il diritto alla salute (art. II-95 del TC) è tale solo ed in quanto è possibile tutelarlo all’interno del sistema sanitario nazionale (pubblico, privato, a pagamento o a spese dello stato).
Solo attraverso l’applicazione del principio di bilanciamento dei beni si può fissare il parametro che consente la determinazione del contenuto di questi beni e nel computo dei limiti dei diritti fondamentali. Peter Häberle, probabilmente il maggior teorico del contenuto essenziale dei diritti fondamentali, nella sua opera “Le libertà fondamentali nello Stato costituzionale”, tradotta in italiano per le edizioni Carocci, precisa: “ Il legislatore nel concretizzare i limiti immanenti ai diritti fondamentali, non vulnera questi ultimi, non li relativizza, bensì li rafforza e li garantisce, o piuttosto li determina … non disciplina un diritto che si pone in contrasto con il sistema dei valori dei diritti fondamentali , bensì da
attuazione a questi ultimi.”.
Ma il legislatore è colui che opera prioritariamente per legge ordinaria, il rappresentante politico della volontà popolare diffusa, colui che determinerà positivamente insieme alla ponderazione dei principi e dei valori l’attuazione stessa di un complesso di norme ordinanti potestà attribuite allo Stato, ad esempio in tema di aborto. A meno che in un catalogo di diritti non si vieti, espressamente, la pratica dell’aborto, non c’è principio attualmente presente nelle costituzioni o nelle carte dei diritti che possa far ricomprendere, inequivocabilmente, l’aborto quale pratica contraria al diritto alla vita. Anzi, è vero giusto il contrario.
Per Ulpiano, Digesto, “nulla poena sine lege”. La seconda frase dell’articolo II-62 del Trattato costituzionale recita: “nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato”. Il confronto con l’articolo 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) in tema di diritto alla vita, ci consente di valutare gli elenchi di diritti nella loro rappresentazione storica. L’art. 2 CEDU, infatti, stabilisce che “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nei casi in cui il delitto sia punito dalla legge con tale pena”.
Ricordiamo che l’apertura della firma della CEDU è avvenuta a Roma il 4 novembre 1950 ed è entrata in vigore, alla condizione di 10 ratifiche, il 3 settembre 1953, mentre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata proclamata a Nizza il 7 settembre del 2000.
Nel 1950 in alcuni paesi europei si eseguivano ancora condanne capitali. In Gran Bretagna l’ultima esecuzione è del 1964 e la pena di morte è stata abolita definitivamente il 31 luglio 1998. L’ultima sentenza in Francia è del 10 settembre 1977, Hamida Djandoubi la donna giustiziata. La pena di morte in Francia è stata proibita per legge da Mitterandt nel 1981 e definitivamente nella Costituzione nel 2007.
La Costituzione italiana, non prevede la pena capitale, esclusi i casi regolati dalle leggi militari di guerra (comma 4, art. 27). Fortunatamente il codice militare di guerra, con legge 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena. Esiste però un vuoto costituzionale: non è stato ancora sancito il principio che vieta la pena di morte in ogni caso. Pertanto, sarebbe possibile una sua reintroduzione per legge ordinaria.
Ad esempio, con la stesso decreto del Presidente della Repubblica sulla dichiarazione dello stato di guerra. Ipotesi per nulla peregrina visto che il decreto legge 1° dicembre 2001 n. 421, convertito in legge 31 gennaio 2002, n 6, recante norme urgenti per la partecipazione di personale militare all'operazione multinazionale denominata "Enduring Freedom", ha previsto che al Corpo di spedizione italiano si applicasse il codice penale militare di guerra, con esclusione delle disposizioni di natura processuale, ancorché in tempo di pace.
Solo dopo l’abolizione della pena di morte nei più influenti stati europei, Gran Bretagna e Francia in testa, viene introdotto il relativo principio nella CEDU. Prima con il protocollo 6 (1) firmato a Strasburgo il 28/04/1983, che in ogni caso non esclude la pena capitale per atti commessi in tempo di guerra o di pericolo imminente di guerra, e successivamente con il protocollo 13 (2). Quest’ultimo abolisce la pena in ogni circostanza con una formulazione del tutto simile al corrispondente articolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.
LA CODIFICAZIONE DEI DIRITTI NELLO SPAZIO E NEL TEMPO
Il protocollo 13 alla Convenzione, firmato a Vilnius il 3 maggio 2002, quasi due anni dopo la proclamazione della Carta Ue a Nizza, a tutt’oggi risulta firmato, ma non ancora ratificato, da Italia e Francia, in buona compagnia di Spagna, Lettonia, Polonia e Armenia. Sui 47 stati membri del Consiglio d’Europa, Arzebaijan e Russia non l’hanno firmato. La Russia è l’unico stato a non aver ancora ratificato anche il protocollo 6 alla Convenzione.
Nel caso italiano occorre evidenziare che la ratifica del protocollo 13 comporterebbe la modifica dell’art. 27 della Costituzione che ancora consente il ricorso alla pena capitale nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. La questione è oltremodo spinosa. In caso di non raggiungimento della maggioranza dei 2/3 sulla legge costituzionale di modifica potrebbe essere richiesto un referendum confermativo. Si può ben immaginare quale canaia qualunquista e demagogica si andrebbe ad alimentare nell’opinione pubblica.
In epoca contemporanea le carte dei principi rappresentano una codificazione del presente storico, ad iniziare dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’Umani firmata a Parigi il 10 dicembre 1948, promossa dall’assemblea generale delle Nazioni Unite e priva di valore giuridicamente vincolante per gli stati membri. Gli elenchi di principi sono più lo specchio di una dato di fatto, una classificazione sul minimo comun denominatore possibile rispetto a condizioni oggettive, siano esse politiche che di potere, che non un segno di progresso rispetto a fini di maggiore civilizzazione ancora da raggiungere a valore trascendente.
A livello internazionale tali codificazioni più che promuovere nuove tutele rappresentano sottoscrizioni di diritti che hanno già ampio riconoscimento negli ordinamenti giuridici nazionali. Le poche eccezioni che possono essere sollevate non fanno che confermare la regola generale. Altra questione è la funzione di elenchi di diritti in fasi storiche di natura rivoluzionaria, come la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino del 1789.
Peter Häberle chiarisce il concetto quando sostiene (3): “Se si devono concretizzare la costituzione come un sistema di valori (Wertsystem) e il Grundgesetz come un ordinamento legato a dei valori, allora questi non devono essere interpretati come un firmamento astratto. I valori non vengono imposti alla costituzione e all’ordinamento giuridico dall’esterno oppure dall’alto. Non hanno la pretesa di essere validi comunque e a priori, senza alcun riferimento allo spazio e al tempo in cui si trovano. Ciò sarebbe contrario al senso della costituzione, che rappresenta un ordinamento complessivo della vita del presente e che deve fare riferimento alla
caratteristiche peculiari di questo presente e coordinare le forze vitali di
un’epoca nell’ambito di un sistema unitario.”
LE LIBERTA’ FONDAMENTALI E I DIRITTI DI CITTADINANZA NELL’UE
Le classiche libertà fondamentali dell’Unione europea (art.I-4 del TC, attuali artt. 12 e 14 TCE) libertà di circolazione delle persone, dei servizi, delle merci, dei capitali e libertà di stabilimento trovano nel trattato stesso le norme che ne disciplinano la tutela e l’attuazione. Non viene solo richiamato il principio (artt. II-99, II-100, II-105, II-106 del TC) secondo il quale lo Stato membro non può impedire la circolazione delle persone alle sue frontiere (anche qui con eccezioni disciplinate sempre dalla legge), ma si specifica, sin nei minimi particolari, ciò che all’ordinamento dell’Unione è consentito o per cui vi è obbligo giuridico in
materia. Nel trattato costituzionale i diritti fondamentali sono disciplinati dagli artt. III-130 a III-160. Tutte politiche che trovano la loro base giuridica già nei trattati attualmente in vigore.
Nel caso delle quattro libertà fondamentali, al principio generale vengono associate le politiche e le disposizione di applicazione in capo all’ordinamento giuridico comunitario. Politiche definite in base al principio di attribuzione delle competenze enumerate. Identico ragionamento può essere sviluppato anche per i diritti di cittadinanza di natura politica (elettorato attivo e passivo per l’elezioni al Parlamento europeo e allo elezioni comunali dello stato membro di residenza, tutela diplomatica all’estero, diritto di petizione al Parlamento europeo, diritto di ricorso al Mediatore europeo) che trovano tutti applicazione nel quadro delle politiche comunitarie secondo il principio di attribuzione.
Pertanto, l’affermazione di un principio all’interno della Carta dei diritti fondamentali (parte II del trattato costituzionale) non introduce affatto competenze nuove. Per inverso nel caso di competenze già attribuite all’Unione si possono rintracciare riferimenti di principio all’interno della Carta. Se la Carta affermasse il diritto alla casa questo non vorrebbe dire che tutti i cittadini europei possono chiedere un alloggio alla Commissione europea, a meno che l’Unione non attribuisse esplicitamente tale competenza alla Commissione.
La disciplina stessa di applicazione della Carta è chiaramente definita nell’art. II-111 del Trattato costituzionale dove al comma due si afferma “La presente Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze ed i compiti definiti nelle altre parti della Costituzione”.
COMPETENZE E CRITERI DI DETERMINAZIONE
Per il futuro, senza tralasciare i pur importanti aspetti giurisprudenziali, dichiarativi o interpretativi, dei diritti stabiliti per elenchi (per loro natura spesso insufficienti, lacunosi e tardivi), è auspicabile concentrare maggiore attenzione alle più derimente questione delle competenze (esclusive, concorrenti o complementari), ma ancor di più sui criteri di determinazione delle competenze (di attribuzione, di sussidiarietà, di prossimità, di proporzionalità). E’ in tale ambito che si potrà valutare l’effettiva portata degli elementi innovativi.
Il principio di competenza enumerata, tipico degli organismi internazionali trova fonte costitutiva nei trattati, mentre il principio di competenza generalista (non caso per caso), in capo allo stato, trova fonte costitutiva nella costituzioni propriamente dette. Nel sistemi federali la ripartizione delle competenze avviene per aree (difesa, concorrenza, sanità, giustizia ecc.) o attraverso l’individuazione degli organismi decisionali responsabili. Nel sistema europeo si stabiliscono non solo le aree di competenza ma le istituzioni competenti, le procedure decisionali e spesso anche gli obiettivi che devono essere perseguiti e le azioni che possono essere svolte nell’abito delle singole politiche. Il trattato costituzionale non modifica per nulla questo equilibrio. Anzi, stabilisce inequivocabilmente all’art. I-1 che “ …la presente Costituzione istituisce l’Unione europea, alla quale gli Stati membri attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni..” Infatti, la parte III del trattato descrive dettagliatamente le singole politiche, riprendendo, quasi sempre, in maniera integrale le disposizione dei trattati attualmente in vigore.
Paradossalmente la cancellazione della parte III del trattato costituzionale, in buona sostanza di cinquant’anni di storia comunitaria, ed una riformulazione delle categorie di competenze con l’inclusione della politica energetica, estera e di difesa tra le materie esclusive avrebbe consentito all’Unione il salto federale. Si sarebbero definite solo le aree di competenza senza nessuna enumerazione pedissequa della delega degli Stati all’Unione. Ciò corrisponderebbe ad una rivoluzione copernicana, al superamento della legittimazione negoziale e funzionale, ad una completa rifondazione dell’ordinamento giuridico sovrannazionale, alla cessione effettiva della sovranità nazionale, alla costituzione, di fatto, dello Stato europeo.
In altre parole, il potere reale, su una determinata materia (competenza), contemplata anche e non sempre all’interno di un catalogo di diritti (beni giuridici), a chi (organo nazionale o sovrannazionale) è attribuito? Se l’ultima parola resta in mano agli Stati siamo in una confederazione. Se è attribuita all’Unione siamo in una federazione. E’ solo su questo piano che si potrà realmente rafforzare la legittimazione democratica dell’Europa e con essa la prospettiva di traguardare l’obiettivo della fondazione dello Stato federale.
Nicola Forlani
(1) Protocollo n° 6 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali sull'abolizione delle pena di morte.
(2) Protocollo n° 13 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali relativo all'abolizione delle pena di morte in ogni circostanza.
(3) P. Häberle, Le libertà fondamentali nello stato costituzionale, Carocci, Roma, 2005
Per salvare il trattato costituzionale
Campoleone, 2 agosto 2007
Da almeno un anno i più attenti osservatori avevano espresso le loro valutazioni sul possibile accordo per salvare quanto vi era di buono nel trattato costituzionale.
A poche settimane dall’inizio del semestre di presidenza tedesca erano chiarissimi, lapalissiani, anche per i meno attenti e superficiali osservatori di cose europee, i termini dell’accordo sul nuovo testo del trattato di riforma. Non ha capito, ed in parte, continua a non capire, solo chi non vuol vedere le cose per quelle che sono, ma adatta le condizioni esterne alle proprie scelte di piccolo cabotaggio. C’è persino chi continua a difendere il trattato costituzionale. Come i sudditi dell’imperatore del Giappone, saranno così temerari da rimanere anni ed anni sugli atolli del Pacifico a combattere una guerra ormai, tragicamente, conclusa.
La situazione politica europea è, purtroppo, priva di novità di rilievo e lo sarà almeno sino al semestre di presidenza francese della seconda metà del 2008.
Occorre sperare che i governi vorranno smettere di giocare alla democrazia cercando il corporativo ed economicamente interessato consenso di poche decine di associazioni della società civile che si distinguo per autoreferenzialità, irrapresentatività nei confronti della categoria a cui appartengono e strettissima contiguità con le amministrazioni di governo stesse.
Dal canto suo la Commissione europea, che brilla sempre più di ottusa tecnocrazia, persevera. In autunno lancia un dibattito/ascolto con la società civile sulle prospettive di bilancio 2007/2013. Si può già immaginare il mercimonio lobbistico a cui toccherà assistere senza che nessun europeista alla giornata avrà il coraggio di denunciare l’impossibilità stessa di qualsiasi politica espansiva dell’Unione alla luce tanto della struttura che delle dimensioni del suo bilancio.
Per il futuro, se vorremo trovare una nuova linea politica strategica unitaria per il MFE, e nuovi dirigenti che sappiano adeguatamente rappresentarla, il confronto dovrà avvenire a tutto campo e riguardare lo scenario all’interno del quale si potrebbe sviluppare un’azione efficace.Occorre quindi mettere in moto i cervelli e ragionare tutti insieme. Il dibattito deve servire a coltivare in comune le idee e non ad orientarle.
Nessuna proposta sugli strumenti può essere aprioristicamente esclusa, assemblea costituente, referendum, elezioni, primarie e chi più ne ha più ne metta. La questione che si pone oggi è analizzare, con la freddezza della ragione, quanto avvenuto da Maastricht ad oggi e tentare di definire un quadro politico all’interno del quale sia realisticamente (accezione non riferita alla realtà materiale contingente, ma alle condizioni reali - che possono anche attualmente non sussistere e che in teoria potrebbero anche mai verificarsi - perché le cose possano accadere) possibile compiere il salto federale.
Nicola Forlani
Da almeno un anno i più attenti osservatori avevano espresso le loro valutazioni sul possibile accordo per salvare quanto vi era di buono nel trattato costituzionale.
A poche settimane dall’inizio del semestre di presidenza tedesca erano chiarissimi, lapalissiani, anche per i meno attenti e superficiali osservatori di cose europee, i termini dell’accordo sul nuovo testo del trattato di riforma. Non ha capito, ed in parte, continua a non capire, solo chi non vuol vedere le cose per quelle che sono, ma adatta le condizioni esterne alle proprie scelte di piccolo cabotaggio. C’è persino chi continua a difendere il trattato costituzionale. Come i sudditi dell’imperatore del Giappone, saranno così temerari da rimanere anni ed anni sugli atolli del Pacifico a combattere una guerra ormai, tragicamente, conclusa.
La situazione politica europea è, purtroppo, priva di novità di rilievo e lo sarà almeno sino al semestre di presidenza francese della seconda metà del 2008.
Occorre sperare che i governi vorranno smettere di giocare alla democrazia cercando il corporativo ed economicamente interessato consenso di poche decine di associazioni della società civile che si distinguo per autoreferenzialità, irrapresentatività nei confronti della categoria a cui appartengono e strettissima contiguità con le amministrazioni di governo stesse.
Dal canto suo la Commissione europea, che brilla sempre più di ottusa tecnocrazia, persevera. In autunno lancia un dibattito/ascolto con la società civile sulle prospettive di bilancio 2007/2013. Si può già immaginare il mercimonio lobbistico a cui toccherà assistere senza che nessun europeista alla giornata avrà il coraggio di denunciare l’impossibilità stessa di qualsiasi politica espansiva dell’Unione alla luce tanto della struttura che delle dimensioni del suo bilancio.
Per il futuro, se vorremo trovare una nuova linea politica strategica unitaria per il MFE, e nuovi dirigenti che sappiano adeguatamente rappresentarla, il confronto dovrà avvenire a tutto campo e riguardare lo scenario all’interno del quale si potrebbe sviluppare un’azione efficace.Occorre quindi mettere in moto i cervelli e ragionare tutti insieme. Il dibattito deve servire a coltivare in comune le idee e non ad orientarle.
Nessuna proposta sugli strumenti può essere aprioristicamente esclusa, assemblea costituente, referendum, elezioni, primarie e chi più ne ha più ne metta. La questione che si pone oggi è analizzare, con la freddezza della ragione, quanto avvenuto da Maastricht ad oggi e tentare di definire un quadro politico all’interno del quale sia realisticamente (accezione non riferita alla realtà materiale contingente, ma alle condizioni reali - che possono anche attualmente non sussistere e che in teoria potrebbero anche mai verificarsi - perché le cose possano accadere) possibile compiere il salto federale.
Nicola Forlani
Tempi orribili
Campoleone, 22 luglio 2007
Nei due precedenti tentativi di costruire l’Europa politica, CED e progetto Spinelli, in gioco vi erano i trasferimenti di reali poteri sovrani dallo stato nazionale alle istituzioni sovranazionali a carattere federale. Non è un caso che i due documenti che ne sono alla base si chiamassero trattati senza alcuna deriva illusionistica costituzionaleggiante.
Anche la presupposta terza occasione storica produrrà un documento che si chiamerà trattato, probabilmente di Lisbona. Riprenderà, pedissequamente, tutte le novità istituzionali e politiche contenute nel documento che sarebbe stato alla base dell’occasione fallita, il trattato costituzionale.
Per logica conseguenza, visto che l’appellativo di trattato non esclude la grande conquista politica (così come avvenuto nei primi due casi) e che quello che sarà ratificato nel 2008 è solo una riformulazione del trattato costituzionale niente affatto semplificato, non si comprende perché questo terzo tentativo non sia da considerarsi coronato da successo. O se, per converso, qualora lo si debba valutare un insuccesso, perché mai la sua formulazione precedente sia stata impropriamente valutata quale la terza occasione per fare l’Europa politica.
Sulle considerazioni sul terzo tentativo di dare una costituzione all’Europa, tutte personali ed che non ritrovano riferimento alcuno nella pubblicistica storica, politica e giuridica ci sarà modo di ritornare presto in un pubblico dibattito, sperando che la questione interessi ancora qualcuno.
Invece non si può sottacere come la ricostruzione sull’elezione dei cinque nuovi membri della direzione sia lacunosa, fallace e non corrispondente alla realtà dei fatti. Non si è proceduto a nessuna elezione condizionata.
In primo luogo si sono eletti cinque membri della direzione designati da Alternativa Europea e non cinque membri di minoranza. La votazione è stata per alzata di mano senza collegamento ad alcuna mozione scritta. Nessuno a chiesto di inserire a verbale le proprie dichiarazioni e l’elezione è avvenuta a larga maggioranza. Una maggioranza ben più ampia di quella che ha eletto gli altri 25 componenti della direzione al congresso di Roma.
Nel corso del dibattito non ci sono state dichiarazioni di voto e attendiamo ancora che i 7 membri del Comitato Centrale che hanno votato no alla proposta e i due astenuti vogliono qui formulare la propria opinione. Dei cinque nuovi membri della direzione il più giovane ha oltre 20 anni di militanza federalista. A mio modesto avviso credo che meritino di conoscere, in una pubblica dichiarazione, le motivazioni che hanno spinto una sparuta ed originale nuova minoranza del MFE a votare contro o a lavarsene le mani.
I rappresentanti di AE presenti alla votazione hanno dichiarato esplicitamente che non era possibile porre alcuna condizione alla loro elezione e che se il Congresso, a norma di statuto (art. 20, primo comma), deve agire nei limiti indicati dal secondo comma dell’art. 2, a maggior ragione la segreteria e la presidenza sono tenuti ad attenersi a questi limiti.
Per maggiora chiarezza dichiaro di ritenere, anche nella veste di membro delle direzione nazionale, di avere il sacrosanto diritto di esprimere, in qualsiasi sede e in qualsiasi luogo, le mie idee ed il mio pensiero anche quando questo non dovesse coincidere con quanto deliberato dagli organi statutari. Già nel passato sono stato membro della direzione indicato da una lista congressuale minoritaria, seppur eletto unanimemente. Al tempo nessuno si è prodigato nel tentativo di mettermi il bavaglio alla bocca o di scollegarmi le sinapsi cerebrali.
il dibattito storico e la dottrina politologica contemporanea evidenziano come i cardini dei principi democratici trovino efficacia nella effettiva tutela delle minoranze. La dittatura della maggioranza non è mai oligarchia. Anzi, quanto più la maggioranza vuol disciplinare e contenere le legittime aspettative dei gruppi di minoranza, tanto più ci sia avvicina al modello dei regimi dispotici.
Non è infatti un caso che le condizioni e le norme positive siano previste a tutela delle minoranze, siano esse linguistiche, cultuali, religiose, sociali. Nei sistemi politici alle minoranze viene persino riconosciuta la direzione delle commissioni di controllo e di garanzia se non addirittura la presidenza delle assemblee.
E’ ben originale invocare giustappunto il contrario, con la formulazione di peregrine norme a tutela della maggioranza. In verità qualche eccezione potrebbe essere fatta per gli amministratori di condominio sull’orlo di una crisi di nervi quando avvertono che gli sta per essere revocato il mandato, ma è di tutta evidenza che non è questo il nostro caso.
Negli ultimi anni ne abbiamo viste ed ascoltate di cotte e di crude. Non ci meravigliamo più di nulla. C’è solo da sperare che i “tempi orribili” finiscano presto. Come diceva Eduardo “Adda passà ‘a nuttata”.
Nicola Forlani
Nei due precedenti tentativi di costruire l’Europa politica, CED e progetto Spinelli, in gioco vi erano i trasferimenti di reali poteri sovrani dallo stato nazionale alle istituzioni sovranazionali a carattere federale. Non è un caso che i due documenti che ne sono alla base si chiamassero trattati senza alcuna deriva illusionistica costituzionaleggiante.
Anche la presupposta terza occasione storica produrrà un documento che si chiamerà trattato, probabilmente di Lisbona. Riprenderà, pedissequamente, tutte le novità istituzionali e politiche contenute nel documento che sarebbe stato alla base dell’occasione fallita, il trattato costituzionale.
Per logica conseguenza, visto che l’appellativo di trattato non esclude la grande conquista politica (così come avvenuto nei primi due casi) e che quello che sarà ratificato nel 2008 è solo una riformulazione del trattato costituzionale niente affatto semplificato, non si comprende perché questo terzo tentativo non sia da considerarsi coronato da successo. O se, per converso, qualora lo si debba valutare un insuccesso, perché mai la sua formulazione precedente sia stata impropriamente valutata quale la terza occasione per fare l’Europa politica.
Sulle considerazioni sul terzo tentativo di dare una costituzione all’Europa, tutte personali ed che non ritrovano riferimento alcuno nella pubblicistica storica, politica e giuridica ci sarà modo di ritornare presto in un pubblico dibattito, sperando che la questione interessi ancora qualcuno.
Invece non si può sottacere come la ricostruzione sull’elezione dei cinque nuovi membri della direzione sia lacunosa, fallace e non corrispondente alla realtà dei fatti. Non si è proceduto a nessuna elezione condizionata.
In primo luogo si sono eletti cinque membri della direzione designati da Alternativa Europea e non cinque membri di minoranza. La votazione è stata per alzata di mano senza collegamento ad alcuna mozione scritta. Nessuno a chiesto di inserire a verbale le proprie dichiarazioni e l’elezione è avvenuta a larga maggioranza. Una maggioranza ben più ampia di quella che ha eletto gli altri 25 componenti della direzione al congresso di Roma.
Nel corso del dibattito non ci sono state dichiarazioni di voto e attendiamo ancora che i 7 membri del Comitato Centrale che hanno votato no alla proposta e i due astenuti vogliono qui formulare la propria opinione. Dei cinque nuovi membri della direzione il più giovane ha oltre 20 anni di militanza federalista. A mio modesto avviso credo che meritino di conoscere, in una pubblica dichiarazione, le motivazioni che hanno spinto una sparuta ed originale nuova minoranza del MFE a votare contro o a lavarsene le mani.
I rappresentanti di AE presenti alla votazione hanno dichiarato esplicitamente che non era possibile porre alcuna condizione alla loro elezione e che se il Congresso, a norma di statuto (art. 20, primo comma), deve agire nei limiti indicati dal secondo comma dell’art. 2, a maggior ragione la segreteria e la presidenza sono tenuti ad attenersi a questi limiti.
Per maggiora chiarezza dichiaro di ritenere, anche nella veste di membro delle direzione nazionale, di avere il sacrosanto diritto di esprimere, in qualsiasi sede e in qualsiasi luogo, le mie idee ed il mio pensiero anche quando questo non dovesse coincidere con quanto deliberato dagli organi statutari. Già nel passato sono stato membro della direzione indicato da una lista congressuale minoritaria, seppur eletto unanimemente. Al tempo nessuno si è prodigato nel tentativo di mettermi il bavaglio alla bocca o di scollegarmi le sinapsi cerebrali.
il dibattito storico e la dottrina politologica contemporanea evidenziano come i cardini dei principi democratici trovino efficacia nella effettiva tutela delle minoranze. La dittatura della maggioranza non è mai oligarchia. Anzi, quanto più la maggioranza vuol disciplinare e contenere le legittime aspettative dei gruppi di minoranza, tanto più ci sia avvicina al modello dei regimi dispotici.
Non è infatti un caso che le condizioni e le norme positive siano previste a tutela delle minoranze, siano esse linguistiche, cultuali, religiose, sociali. Nei sistemi politici alle minoranze viene persino riconosciuta la direzione delle commissioni di controllo e di garanzia se non addirittura la presidenza delle assemblee.
E’ ben originale invocare giustappunto il contrario, con la formulazione di peregrine norme a tutela della maggioranza. In verità qualche eccezione potrebbe essere fatta per gli amministratori di condominio sull’orlo di una crisi di nervi quando avvertono che gli sta per essere revocato il mandato, ma è di tutta evidenza che non è questo il nostro caso.
Negli ultimi anni ne abbiamo viste ed ascoltate di cotte e di crude. Non ci meravigliamo più di nulla. C’è solo da sperare che i “tempi orribili” finiscano presto. Come diceva Eduardo “Adda passà ‘a nuttata”.
Nicola Forlani
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