lunedì 10 dicembre 2012

I federalisti non possono stare a guardare

di Nicola Forlani



Agli amici federalisti

Campoleone, 10 dicembre 2012

Cari amici,

credo che le vicende politiche nostrane degli ultimi giorni richiedano una netta e ferma presa di posizione del MFE. E’ evidente che forze moderate si stanno organizzando su un programma politico dichiaratamente antieuropeista. Il calcolo di convenienza è evidente: a destra si corre per vincere la gara tra chi riuscirà a porre una forza di interdizione al Senato contro la gioiosa macchina da guerra di Bersani e compagni.

Cavalcare il disagio sociale facendo dell’Unione europea il capro espiatorio della crisi e fin troppo facile. I sentimenti antieuropeisti sono diffusi, sin ora malcelati, ma è indubbio che se a dargliene forma saranno le armate mediatiche del Cavaliere, anche la partita elettorale potrà degenerare, ed al peggio non c’è mai limite.

Il MFE distingue in progressisti e conservatori sulla base di parametri sovrannazionali, in particolare tra chi è a favore della costruzione di una solida federazione europea e chi ne è fieramente contro. Difficile nella quotidianità distinguere tra il tasso di europeismo del controdestra e del centrosinistra italiano. Le contraddizioni sono innumerevoli. Ma si sta per profilare una situazione completamente diversa dove l’antieuropeismo stesso diventa il cemento fondante di un nuovo patto politico di governo.

In tale prospettiva i federalisti non possono stare certo a guardare. Siamo in una situazione di assoluta eccezionalità ed è nostro dovere morale prendere posizione.

Un caro saluto.

lunedì 22 ottobre 2012

Perché non ritirare il Nobel per la pace all'Ue

Il 12 ottobre 2012, il comitato norvegese per il Nobel ha assegnato quello per la Pace all'Unione europea. Il voto è stato unanime, come annunciato dal presidente del comitato Thorbjorn Jagland. Il premio di otto milioni di corone svedesi è stato assegnato per “aver contribuito per sei decenni all'avanzamento della pace e della riconciliazione, la democrazia e i diritti umani in Europa".

Non è certo la prima volta che un'organizzazione internazionale riceve tale riconoscimento, anzi. Proprio il primo fu assegnato nel 1901 al fondatore della Croce Rossa, Jean Henri Dunant. La stessa Croce Rossa ha ricevuto il premio, con diverse motivazioni ancora nel 1917, 1944 e 1963. La Nazioni Unite l'hanno ricevuto ben sette volte; l'ultima è del 2007, andata al Comitato Intergovernativo per i Mutamenti Climatici.

Giusto per la cronaca, anche per dare il giusto peso alla lieta notizia giunta ai vertici istituzionali dell'Ue, è bene ricordare che il premio vede tra gli insigniti al merito tre presidenti degli Stati Uniti, da Theodore Roosevelt, passando per Jimmy Carter e sino a Bark Obama, in buona compagnia di Willy Brandt, Lech Walesa, Michail Gorbacev, Yasser Arafat, Scimon Peres, Yizhak Rabin e Al Gore, ma non è stato mai assegnato al Mahatma Gandhi. Guarda un po' la combinazione.

Solo dal 1987 il comitato esprieme una motivazione per il prestigioso riconoscimento, e quella per l'attribuzione all'Unione, non fa un grinza. E' indubbio che l'organizzazione in oggetto abbia contribuito (non certo da sola andrebbe aggiunto, ma è una pura ovvietà), al consolidamento di rapporti pacifici tra paesi storicamente in permanente conflitto nel vecchio continente, Francia e Germania in testa. E' stata anche un elemento catalizzatore di interessi economici che hanno sospinto paesi in regimi dittatoriali (Spagna, Portogallo, Grecia e successivamente gli stati satelliti dell'Urss) verso modelli di democrazia consolidata. Ed ancora. Il suo impegno nell'affermazione dei diritti umani, per quanto con politiche contraddittorie ed non sempre adeguatamente sostenute finanziariamente, è indubbio.

Ma. Esiste un ma grande come una casa. Con una punta di ironia tutta britannica e dopo l'invito di Herman Van Rompuy (Presidente del Consiglio Ue) ai ventisette capi di stato e di governo perché vadano ad assistere alla cerimonia del prossimo 10 dicembre ad Oslo, David Cameron ha affermato : “ci sarà gente a sufficienza per ritirare il premio”, e c'è da scommetterne. Il Primo ministro britannico non si è fatto sfuggire anche una notazione di merito: “anche la Nato ha contribuito”. Vero, anche la Nato ha giocato un ruolo del tutto simile all'Ue per la pace, la democrazia e l'affermazione dei diritti umani. Come si potrebbe mai negarlo? Probabilmente anche il Patto di Varsavia è stato un elemento equilibratore di spinte centrifughe che stavano per condurci nel precipizio del terzo conflitto mondiale. E allora?

E allora, aver contribuito a, come dichiarato nella motivazione, non toglie nulla a tutto ciò che l'Unione europea non ha fatto o meglio, non è grado di fare, tanto nell'immediato che in prospettiva. E' qui il discrimine di chi vuol far finta di non capire.

Tra i commenti che si sono susseguiti alla notizia dell'assegnazione del Nobel, si annoverano quelli dei tiepidi europeisti (ovviamente celebrativi di ciò che si ha, del contingente). Altre reazioni, o per motivi dello spirito, come per i costruttori di pace, o per motivi politici, come per i federalisti, sono state ponderatamente critiche, se non, in alcuni casi, apertamente, dissacratorie.

Alcuni europeisti alla giornata sono arrivati persino ad avanzare l'ipotesi che ben per altre motivazioni, alla memoria, dovesse essere ritirato il premio. Si è tirata in ballo addirittura la figura di un autentico gigante del pensiero federalista, Altiero Spinelli. Perché non allora alla memoria di Paul Henri Spaak. In tal caso sarebbe stata la nipote Catherin a dirigersi verso Oslo, con indubbio piacere tanto per gli occhi e che per la mente.

Tanto i pacifisti che i federalisti sono costruttori. I primi coltivano, su se stessi prima che sugli altri, atteggiamenti sociali e culturali. I secondi vogliono erigere strutture politiche sovranazionali. Entrambi hanno però una caratteristica che li accomuna: rivendicano, chiedono e si adoperano per ciò che non esiste; non hanno alcuna tendenza a crogiolarsi di quel po' che è già sotto i nostri occhi.

Per i federalisti, in particolare, è determinante sottolineare come i paesi del vecchio continente, Francia, Germania ed Italia in testa, pur se animatori, sessantanni or sono, della prima Comunità del carbone e dell'acciaio, oggi si sottraggano ad una precisa responsabilità storica che ricade su di loro: quella responsabilità che dovrebbe condurli a dichiarare l'impegno per la fondazione di una prima vera e definita entità statuale supernazionale.

Solo con un'autentica Federazione politica si entrerebbe in quell'ambito di irreversibilità del processo di integrazione che molti già danno per acquisita. Tra l'altro, i più avveduti, si rendono anche ben conto che il processo potrebbe anche fermarsi, se non addirittura implodere, sotto le spinte di interessi non più concomitanti.

Solo con lo Stato Europa si potrebbe svolgere un'attiva opera di pacificazione a livello internazionale nelle principali aree di crisi, ad iniziare dal Medio Oriente.

E' evidente che ciò interessa molto poco ai membri del comitato norvegese per il Nobel, figli di un popolo che ha scelto per ben due volte, con referendum, di rifiutare la prospettiva stessa dell'integrazione europea. La prima consultazione che ha dato esito negativo è del 25 settembre 1972, sull'adesione alle Comunità europee. Altro referendum dove i norvegesi si sono espressi per il no è quello sull'Unione europea del 27-28 novembre 1994. A seguito di questi espliciti dinieghi a nessuno è venuta in mente la balzana idea di chiedere ritorsioni, che so, prevedendo il boicotaggio dello stoccafisso all'interno del mercato unico, ma venirci ora a fare la lezioncina sulle doti maieutiche del processo di integrazione ha veramente del paradossale.

Il prossimo 10 dicembre il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, e il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, andranno insieme a Oslo per ritirare il Nobel per la pace.

Nel corso di una conferenza stampa lo stesso Schulz ha ironizzato dicendo: Herman ritirerà la medaglia , Jose’ Manuel il certificato, e io la moneta’’.

Non c'è che dire. Sono mille i buoni motivi per cui non ritirare il premio, almeno fin tanto che alcuni volenterosi non abbiamo fondato la prima vera Federazione nella più ampia Unione.

La foto di rito chiede di mettersi in posa, ognuno, di par suo, per tentare di passare a maggior gloria. C'è da scommettere che lor signori, impettiti e gaudenti, continueranno a far finta di non vedere il baratro della dissoluzione della più grande, ed incompiuta, ambizione politica del novecento.

Nicola Forlani

Campoleone, 21 ottobre 2012

lunedì 15 ottobre 2012

Lettera aperta al segretario della GFE

Lettera aperta al segretario della GFE, Simone Vannuccini

Caro Simone, colgo l’occasione della tua convocazione del Comitato Centrale della GFE, previsto a Salsomaggiore Terme per il prossimo 21 ottobre 2012,  per condividere, “coram populo”, qualche osservazione da federalista distante, distante dagli equilibrismi di un movimento che, ti confesso, faccio sempre più fatica a comprendere.

La campagna per la federazione europea era già stata abbozzata in quel lontano congresso di Catania. Un congresso dove si è consumata l’apoteosi di un Movimento del tutto uguale a qualsiasi altra organizzazione politica. In quell’occasione i tatticismi  di potere fine a se stessi si sono manifestati nella loro più risplendente espressione.

Sai, per chi come me è cresciuto ascoltando Mario Albertini che si esercitava, da intellettuale puro, sul nuovo modo di fare politica, dagli oggi, dagli domani, a quei principi si era intimamente affezionato. Dover constatare che erano affermazioni solo per i gonzi, per quelle poche anime belle che potevano veramente abboccarci, è una costatazione molto poco edificante.

Eppure, oggi, non si può che ammettere che il contorno strategico della campagna per la federazione europea abbia quantomeno il pregio di avere un capo ed una coda, una sostanziale coerenza che non può certo essere sottaciuta e che va a tutto merito non solo dei militanti che la stanno sostenendo,  ma di chi ha l’oneroso fardello di condurre le redini organizzative del Movimento. Cosa della quale non possiamo che rallegrarci, sia chiaro.

Quanto alla proposta di ICE, fantozzianamente, dopo anni ed anni che qualcuno ci sta a massacrare gli attributi, non sarà arrivato il momento di dire, parafrasando il ragionier Ugo, che l’ICE …  è una …. Sono anni che ci si illude di armarsi è partire, quando nessuno ha la benché minima voglia o intenzione di raccogliere, per quelle quattro parole in croce, una beata firma.

Ed invece no, anche tu che rappresenti le nuove generazioni, sei ormai tutto impegnato a ribattere la proposta di ICE ad ogni piè sospinto. Orami è come  un blob gelatinoso sta per invadere anche le vostre giovani coscienze. Parla di quel che ti pare ma mettici la proposta dell’ICE a qualche pizzo, altrimenti non si è politicamente corretti.

Simone caro, che barba, che noia. Se per ogni incontro dove si è parlato di questa ICE, che ormai simboleggia il ruolo dell’inutilità nel progredire del genere umano, si fossero raccolte, non dico molto, cento firme, oggi come oggi se ne conterebbero a milioni.

La verità la conosciamo tutti, ma nessuno la dice. Questa roba trita e ritrita dell’ICE viene ributtata solo in ossequio dell’accordo di maggioranza che tiene dentro 400 voti congressuali coltivati ai piedi della Mole Antonelliana, null’altro. Ed io, essendo nessuno, la posso dire.

Quanto all’azione settimanale (action week mi sa tanto di una purga ad efficacia differita, ma garantita) militanti della sezione di Campoleone non faranno mancare il proprio contributo all’iniziativa in via del Vicario, qui a Roma. Perché si partecipa? Come direbbe Tenco: “mi sono innamorato di te, perché, non avevo niente da fare”. 

Un caro saluto e a presto.

Nicola Forlani

Campoleone, 15 ottbore 2102