La sentenza Cedu quale rappresentazione di quell'Europa di cui nessuno sente il bisogno
di Nicola Forlani
La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo contro il Crocifisso in aula (dicitura pubblicata sul sito del Consiglio d'Europa), sta sostenendo la nascita, nel nostro Paese, di un nuovo e ben più radicato movimento anti europeo.
Gli antipapalini rilanciano. Vanno bel oltre la questione strettamente giuridica, che riguarda esclusivamente un caso di specie, sostenendo la piena legittimità della rimozione dei Crocifissi dalle scuole, quale segno evidente della primazia dei valori dello Stato laico. Per inciso, nella scuole italiane, è già molto raro trovare aule con Crocifissi esposti; raro quanto trovare una struttura efficiente, personale docente motivato, ed alunni coinvolti e partecipi.
Possiamo annoverare molte condizioni di contesto che non fanno che esasperare la questione. L'ideologismo anticristiano, da espressione elitaria di movimenti radicali, sta assumendo sempre più i connotati di un ampio fenomeno di massa. La battaglia intrapresa da Papa Benedetto XVI contro le tendenze interpretative relativistiche sta ponendo la Chiesa cattolica in un'oggettiva posizione sociale minoritaria. Il laicismo, da espressione di una pragmatica modernità post illuministica, viene sempre più percepito come avversario degli elementi di religiosità della realtà contingente.
Altre opportune considerazioni potrebbero aggiungersi, senza però cambiare la principale caratteristica di ciò che sta avvenendo: il Crocifisso potrebbe diventare la bandiera di un'identità localistica, di un risorgente nazionalismo, di una pura e semplice lotta religiosa. E' già successo nel passato, con la compiacenza del potere temporale della Chiesa. Potrebbe ridiventarlo nel futuro?
Il Crocifisso è solo un oggetto che rappresenta una via di salvezza dalle umane angosce, attraverso la passione e la resurrezione; questo è quanto ci insegna il catechismo. Non solo un puntale dogma di fede del Dio che si è fatto uomo, ma un elemento rappresentativo, quindi eminentemente culturale, di essere nella storia. Se per un cristiano esso è un segno di identità, per i laici è un segno perenne della volontà di riscatto.
Potrebbe essere interessante provare ad analizzarne le dinamiche odierne in relazione al processo di integrazione europea. Prima di inoltrarci su questa strada, proviamo a fare un salto indietro di quasi un quarantennio. Intorno ai dieci anni, quando iniziavo a pormi le prime, elementari, domande sulle finalità dell'esistenza umana, vivevo, in pratica, in una scuola media. Da casa mia aprivo una porta ed entravo in un altro mondo, in un altra dimensione; la mattina di studio, il pomeriggio di giochi. Qui ritrovavo mio nonno, il signor Preside, una sorta di liberale giolittiano che apprezzava, e sosteneva, il moderatismo democristiano.
Tutto l'edificio era ricolmo di Crocifissi. D'estate, quando si svolgevano i lavori di manutenzione, quel ragazzino di dieci anni, li raccoglieva tutti, perché non andassero danneggiati o dispersi. Poi, verso i primi di settembre provvedeva a riposizionarli.
Fu proprio mio nonno, per primo, a parlarmi del progetto europeo, di come gli abitanti del vecchio continente avessero imboccato una strada razionale finalizzata alla pacifica convivenza. Il suo era un europeismo tipicamente funzionalista: attribuire un un ente superiore competenze nella misura ed in funzione, appunto, di una migliore gestione delle risorse. Aderire all'Europa, pur in assenza degli attributi di democraticità intrinseca del sistema (l'Ue era e rimane un'organizzazione internazionale a competenze delegate e il dibattito sulla democraticità di tali strutture appare del tutto surreale).
In buona sostanza il Mercato comune portava nelle case frigoriferi, cucine elettriche, televisori, coca cola e tanta fiducia nel futuro. L'Europa non solo era funzionalista, ma funzionava proprio! Ciò lo si doveva alle oculate scelte della cattolicesimo politico italiano che da De Gasperi in poi, ha fatto dell'obiettivo sovranazionale la principale caratteristica della politica internazionale italiana. Insomma, mio nonno, e la sua generazione erano la tipica rappresentazione di quel consenso diffuso pro europeo che abbiamo iniziato a disperdere.
Torniamo ai giorni nostri. La sentenza della Cedu mette in primo piano l'Europa di cui nessuno sente il bisogno. Quell'Europa che, in nome dell'affermazione di diritti, va a mettere il becco un po' dappertutto, incapace di occuparsi dell'unica cosa di cui potrebbero avere a cuore i suoi cittadini, l'essenziale: risorse energetiche e sviluppo economico; difesa della natura e ricerca scientifico/tecnologica, concorrenza economica e mercati globali, politica di sicurezza e promozione dei diritti umani. Il potere di occuparsi di queste cose non esiste e costituire un tale potere vuol dire costruire la nuova dimensione statuale della Federazione europea.
A nulla vale appellarsi alle puntualizzazioni e precisazioni in tema di Consiglio d'Europa, Unione europea, corti e tribunali. Nell'immaginario del cittadino comune esse sono “quisquigle e pinzellacchere”. Cose da “azzeccarbugli” note ad un'infinitesima percentuale della popolazione; di certo non ai giornalisti, ai politici, ai giuristi, ai cultori delle scienze umanistiche, tranne che ai quei pochissimi esperti del settore, qualche migliaio in tutti il Paese.
La percezione è netta: i miei bisogni non trovano più soluzione in ambito sovranazionale; le istituzioni comuni sono buone ad occuparsi anche del sesso degli angeli. Anzi, più si tentasse di spiegare ed informare - erigendo così una sorta di invalicabile linea del Piave- tanto più l'opinione pubblica, sempre più incerta e confusa, comprenderebbe che è giunto il momento opportuno per tracimare, senza controllo, verso la paura e l'immobilismo.
L'Europa tecnocratica riscuote sempre meno consenso, questo è un fatto politico che non può essere né sottaciuto né sottovalutato. Quella stessa Europa, compiendo un passo indietro nella lotta alla laicità, ha travolto, con la sentenza Cedu, il più comune buon senso. Quest'Europa non funziona. Una strada perniciosa su cui si è incamminata e che non sembra voler abbandonare.
Perché mai la presenza discreta di quel povero Cristo appeso che guarda, tacendo, le tante stupidità e nefandezze umane scuote tanto le coscienze? Quel ragazzino, che sognava l'Europa raccontata dal nonno, si poneva allora la domanda, e se la pone ancora oggi.
Campoleone, 9 novembre 2009