di Nicola Forlani
E' finita in Europa l'età dell'oro”. E' finita la fiaba del progresso continuo e gratuito. La fiaba della globalizzazione, la “cornucopia” del XXI secolo. Una fiaba
che pure ci era stata così bene raccontata. Il tempo che sta arrivando è un tempo di ferro.
Come si è già visto in tante altre rivoluzioni, quella della globalizzazione è stata preparata da illuminati, messa in atto da fanatici, da predicatori partiti con fede teologica alla ricerca del paradiso terrestre.
Il corso della storia non poteva essere fermato, ma qualcuno e qualcosa – vedremo chi e cosa – ne ha follemente voluto e causato l'accelerazione aprendo, come nel mito, il “vaso di pandora”. liberando e scatenando forze che ora sono difficili da controllare.”
Con queste riflessione si apre il libro di Giulio Tremonti “La paura e la speranza”, edito da Mondadori, nel marzo del 2008. Senza alcun velo di ipocrisia, e proprio partendo da alcune considerazioni sulla situazione di stallo del vecchio continente, l'autore compie un'analisi sferzante ed autorevole sulle cause della crisi, i passi falsi della politica, le spietate dinamiche della finanza internazionale.
Non manca di delineare anche la strada per vincere la paura e tornare alla speranza. Egli sostiene che il nuovo non può più nascere sul terreno dell'economia, ma, prima di tutto, su quello della morale e dei principi. Occorre un atto rifondativo della politica europea che faccia perno su sette parole d'ordine: valori, famiglia, identità, autorità, ordine, responsabilità e federalismo.
Il pensiero dell'autore va diametralmente in opposizione al movimento del '68 e a tutti gli errori conseguenti di quella stagione politica. Egli invoca la creazione di una “fortezza Europa”, contro l'attacco dell'Asia e la tempesta della globalizzazione; qualcosa di più di un appello al protezionismo, qualcosa di meglio del conservatorismo.
La globalizzazione mostrerà il conto, il conto della crisi finanziaria, il conto del disastro ambientale, il conto delle tensioni geopolitiche per la lotta per la conservazione o per il dominio delle risorse naturali.
“Quando la storia compie una delle sue grandi svolte, quasi sempre ci troviamo di fronte l'imprevedibile, l'irrazionale, l'oscuro, il violento e non sempre il bene. Già altre volte il mondo è stato governato dai demoni”. Considerazioni spietate che individuano i principali responsabili della crisi finanziaria nell'ideologia mercatista (utopia madre della globalizzazione) e nella nuova tecno-finanza.
La macchina miracolosa della globalizzazione ha visto lavorare a braccetto i liberali drogati dal successo ottenuto nella lotta contro il comunismo insieme ai post-comunisti divenuti liberisti per salvarsi, i banchieri travestiti da statisti insieme agli speculatori-benefattori. Gli economisti erano sullo sfondo, a far da sacerdoti e falsi profeti del nuovo credo globale.
La soluzione non è nell'economia, né, tanto meno, nella tecnocrazia, ma nella politica e nel potere. Per Tremonti l'Europa della moneta unica e dell'allargamento ad est ha esaurito la propria spinta propulsiva. L'Unione europea uscita dal Trattato di Lisbona è esausta ed incapace di riformarsi.
Eppure, proprio all'Europa spetta ancora un compito rivoluzionario, improntato ad una politica opposta alla dittatura sfascista del relativismo.
L'Europa, sotto gli strali dell'euroburocrazia, ha progressivamente perso la sua identità. Molteplici le cause. Tremonti si sofferma in particolare su quelli di ordine sociale.
Tra queste spicca l'idea postmoderna della famiglia orizzontale, con gli strumenti contrattuali di base (pasc, unioni di fatto), che sublima l'idea del consumismo dei sentimenti. I matrimoni “pop” sono sempre più immersi nella profonda solitudine che si genera nell'effimero shopping giuridico a bassa intensità morale.
Inoltre il '68 ha comportato la scomparsa dell'autorità. I diritti hanno preso il posto dei doveri trasformando la società in una poltiglia di particolarismo. Sono andati distrutti, con furia iconoclasta, il valori del decoro, del rango e del merito.
L'iperanomia, quel fenomeno connesso alla moltiplicazione di norme disancorate dalle istituzioni e alla proliferazione di sanzioni minacciate, ma inapplicate, ha comportato una sempre maggiore sfiducia nell'ordine sociale. Troppe leggi, nessuna legge. Occorrerebbe invece imboccare un processo di demoltiplicazione normativa al fine di vincere la confusione, a tutto merito di un maggior rigore applicativo.
L'uomo nuovo si è liberato dei doveri sociali, smarrendo così la propria capacità di un esercizio di responsabilità (insieme morale, sociale e spirituale), in assenza della quale nessuna nuova visione politica è possibile.
Per Tremonti, cadute le grandi ideologie, solo il federalismo, forma politica di una nuova responsabilità, può sostituirsi al calante senso del dovere verso lo stato-nazione, sempre più in crisi.
Nel capitolo finale “quo vadis Europa” è evidenziato un severissimo giudizio sullo stato dell'Unione europea. La Commissione europea è in crisi. La sua ipertrofica composizione a ventisette gli impedisce di affrontare alcun serio dibattito, con conseguente crescita autoreferenziale dell'apparato burocratico. Effetto palese: la crescita del deficit democratico dell'istituzione quanto la sua impopolarità presso l'opinione pubblica.
La sindrome tecnocratica si estende anche al Consiglio. Con buona pace di chi ritiene che la democratizzazione dell'Unione possa essere favorita da un abbattimento delle materie in cui vige la decisione all'unanimità, nello schema a 27 la geometria delle minoranze di blocco (anche per effetto dei cicli elettorali nei singoli stati membri) è tale da vanificare ogni maggioranza. Di qui la permanente necessità di deliberare all'unanimità, anche in materie in cui vigerebbe la maggioranza.
Per Giulio Tremonti, una nuova fase del processo di integrazione non può che recuperare un approccio propriamente e pienamente politico. Occorre evitare di affrontare il tutto, tranne l'essenziale, rintracciabile in un effettivo aspetto di potere. I vecchi mezzi tecnocratici e metapolitici dell'era gloriosa dell'integrazione economica si sono sublimati ed ossificati nel trattato di Lisbona.
Non si tratta, come fatto nel passato, di dare qualcosa in più all'Europa, ma di fare dell'Europa qualcosa di diverso attraverso il riconoscimento pieno dell'iniziativa legislativa al Parlamento europeo. A giudizio dell'autore è proprio questo l'aspetto di struttura che potrebbe rivoluzionare l'assetto dell'Unione europea.
La nuova politica economica di interesse europeo dovrebbe orientarsi su dodici direttrici principali:
1)Trattato di unione commerciale tra Europa e USA basato su comuni principi doganali e di proprietà intellettuale.
2)Proposta per una nuova Bretton Woods estesa ai campi valutari,alla tutela dell'ambiente, clausole sociale e controllo dei mercati finanziari
3)in alternativa, applicazione effettiva delle clausole sociali ed ambientali contenute nel WTO.
4)se non bastasse, l'Europa potrebbe, in analogia alle prescrizione delle leggi USA di attuazione degli accordi GATT/WTO, prospettare la sua uscita unilaterale se l'applicazione di queste regole arrecasse un serio pregiudizio e comportasse restrizioni per l'operatività delle imprese europee.
5)Spostamento dell'asse del prelievo fiscale, dalle persone alle cose.
6)Moratoria legislativa in materia di imprese e lavoro per favorire un contenimento dei costi e un rilancio della competitività, con riduzione delle regolamentazione europea e nazionale.
7)Attrazione di capitali esterni. Tassazione zero (o di assoluto favore) per i nuovi investimenti esteri che operano in settori industriali strategici per lo sviluppo. Contestualmente va bloccata l'attività dei “fondi sovrani” in Europa.
8)Emissione di Euro-bond. Ai limiti imposti sulle politiche di bilancio nazionali dal trattato di unione monetaria deve corrispondere un piano europeo di investimenti pubblici e privati in settori strategici per lo sviluppo.
9)Una politica industriale europea. L'Europa deve fermare l'uso indiscriminato ed autolesionista dei suoi strumenti anti-aiuti di stato.
10)Una politica europea per la famiglia con l'esclusione dal 3% del patto europeo di crescita e stabilità di tutte le spese, sussidi, regimi fiscali speciali e detassazioni a favore della famiglia.
11)Un piano europeo per lo sviluppo del nucleare.
12)L'introduzione della detax (DT) per dare speranza all'Africa. Attraverso la vendita di beni e servizi si può liberamente aderire ad iniziative etiche, private o pubbliche, speciali o generali, nazionali o internazionali.
Questo, in buona sintesi, il pensiero di Giulio Tremonti. Insufficiente nell'analisi e nella proposta? Forse. Per tanti versi è anche ovvio che sia così. Eppure, sotto i nostri occhi, rimane un fatto incontrovertibile: egli esprime un pensiero ardito quanto di più non è dato vedere nel panorama politico ed intellettuale italiano. I federalisti europei non possono certo sottrarsi al confronto.
Campoleoene, 8 marzo 2010