Il 12 ottobre 2012, il comitato
norvegese per il Nobel ha assegnato quello per la Pace all'Unione
europea. Il voto è stato unanime, come annunciato dal presidente del
comitato Thorbjorn Jagland. Il premio di otto milioni di corone
svedesi è stato assegnato per “aver contribuito per sei decenni
all'avanzamento della pace e della riconciliazione, la democrazia e i
diritti umani in Europa".
Non è certo la prima volta che
un'organizzazione internazionale riceve tale riconoscimento, anzi.
Proprio il primo fu assegnato nel 1901 al fondatore della Croce
Rossa, Jean Henri Dunant. La stessa Croce Rossa ha ricevuto il
premio, con diverse motivazioni ancora nel 1917, 1944 e 1963. La
Nazioni Unite l'hanno ricevuto ben sette volte; l'ultima è del 2007,
andata al Comitato Intergovernativo per i Mutamenti Climatici.
Giusto per la cronaca, anche per dare
il giusto peso alla lieta notizia giunta ai vertici istituzionali
dell'Ue, è bene ricordare che il premio vede tra gli insigniti al
merito tre presidenti degli Stati Uniti, da Theodore Roosevelt,
passando per Jimmy Carter e sino a Bark Obama, in buona compagnia di
Willy Brandt, Lech Walesa, Michail Gorbacev, Yasser Arafat, Scimon
Peres, Yizhak Rabin e Al Gore, ma non è stato mai assegnato al
Mahatma Gandhi. Guarda un po' la combinazione.
Solo dal 1987 il comitato esprieme una
motivazione per il prestigioso riconoscimento, e quella per
l'attribuzione all'Unione, non fa un grinza. E' indubbio che
l'organizzazione in oggetto abbia contribuito (non certo da sola
andrebbe aggiunto, ma è una pura ovvietà), al consolidamento di
rapporti pacifici tra paesi storicamente in permanente conflitto nel
vecchio continente, Francia e Germania in testa. E' stata anche un
elemento catalizzatore di interessi economici che hanno sospinto
paesi in regimi dittatoriali (Spagna, Portogallo, Grecia e
successivamente gli stati satelliti dell'Urss) verso modelli di
democrazia consolidata. Ed ancora. Il suo impegno nell'affermazione
dei diritti umani, per quanto con politiche contraddittorie ed non
sempre adeguatamente sostenute finanziariamente, è indubbio.
Ma. Esiste un ma grande come una casa.
Con una punta di ironia tutta britannica e dopo l'invito di Herman
Van Rompuy (Presidente del Consiglio Ue) ai ventisette capi di stato
e di governo perché vadano ad assistere alla cerimonia del prossimo
10 dicembre ad Oslo, David Cameron ha affermato : “ci sarà gente a
sufficienza per ritirare il premio”, e c'è da scommetterne. Il
Primo ministro britannico non si è fatto sfuggire anche una
notazione di merito: “anche la Nato ha contribuito”. Vero, anche la Nato ha giocato un ruolo del tutto simile
all'Ue per la pace, la democrazia e l'affermazione dei diritti umani.
Come si potrebbe mai negarlo? Probabilmente anche il Patto di
Varsavia è stato un elemento equilibratore di spinte centrifughe che
stavano per condurci nel precipizio del terzo conflitto mondiale. E
allora?
E allora, aver contribuito a, come
dichiarato nella motivazione, non toglie nulla a tutto ciò che
l'Unione europea non ha fatto o meglio, non è grado di fare, tanto
nell'immediato che in prospettiva. E' qui il discrimine di chi vuol
far finta di non capire.
Tra i commenti che si sono susseguiti
alla notizia dell'assegnazione del Nobel, si annoverano quelli dei
tiepidi europeisti (ovviamente celebrativi di ciò che si ha, del
contingente). Altre reazioni, o per motivi dello spirito, come per i
costruttori di pace, o per motivi politici, come per i federalisti,
sono state ponderatamente critiche, se non, in alcuni casi,
apertamente, dissacratorie.
Alcuni europeisti alla giornata sono
arrivati persino ad avanzare l'ipotesi che ben per altre motivazioni,
alla memoria, dovesse essere ritirato il premio. Si è tirata in
ballo addirittura la figura di un autentico gigante del pensiero
federalista, Altiero Spinelli. Perché non allora alla memoria di
Paul Henri Spaak. In tal caso sarebbe stata la nipote Catherin a
dirigersi verso Oslo, con indubbio piacere tanto per gli occhi e che
per la mente.
Tanto i pacifisti che i federalisti
sono costruttori. I primi coltivano, su se stessi prima che sugli
altri, atteggiamenti sociali e culturali. I secondi vogliono erigere
strutture politiche sovranazionali. Entrambi hanno però una
caratteristica che li accomuna: rivendicano, chiedono e si adoperano
per ciò che non esiste; non hanno alcuna tendenza a crogiolarsi di
quel po' che è già sotto i nostri occhi.
Per i federalisti, in particolare, è
determinante sottolineare come i paesi del vecchio continente,
Francia, Germania ed Italia in testa, pur se animatori, sessantanni
or sono, della prima Comunità del carbone e dell'acciaio, oggi si
sottraggano ad una precisa responsabilità storica che ricade su di
loro: quella responsabilità che dovrebbe condurli a dichiarare
l'impegno per la fondazione di una prima vera e definita entità
statuale supernazionale.
Solo con un'autentica Federazione
politica si entrerebbe in quell'ambito di irreversibilità del
processo di integrazione che molti già danno per acquisita. Tra
l'altro, i più avveduti, si rendono anche ben conto che il processo
potrebbe anche fermarsi, se non addirittura implodere, sotto le
spinte di interessi non più concomitanti.
Solo con lo Stato Europa si potrebbe
svolgere un'attiva opera di pacificazione a livello internazionale
nelle principali aree di crisi, ad iniziare dal Medio Oriente.
E' evidente che ciò interessa molto
poco ai membri del comitato norvegese per il Nobel, figli di un
popolo che ha scelto per ben due volte, con referendum, di rifiutare
la prospettiva stessa dell'integrazione europea. La prima
consultazione che ha dato esito negativo è del 25 settembre 1972,
sull'adesione alle Comunità europee. Altro referendum dove i
norvegesi si sono espressi per il no è quello sull'Unione europea
del 27-28 novembre 1994. A seguito di questi espliciti dinieghi a
nessuno è venuta in mente la balzana idea di chiedere ritorsioni,
che so, prevedendo il boicotaggio dello stoccafisso all'interno del
mercato unico, ma venirci ora a fare la lezioncina sulle doti
maieutiche del processo di integrazione ha veramente del paradossale.
Il prossimo 10 dicembre il presidente
del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, il presidente della
Commissione europea, Josè Manuel Barroso, e il presidente del
Parlamento europeo, Martin Schulz, andranno insieme a Oslo per
ritirare il Nobel per la pace.
Nel
corso di una conferenza stampa lo stesso Schulz ha ironizzato
dicendo: Herman ritirerà la medaglia , Jose’ Manuel il
certificato, e io la moneta’’.
Non
c'è che dire. Sono mille i buoni motivi per cui non ritirare il
premio, almeno fin tanto che alcuni volenterosi non abbiamo fondato
la prima vera Federazione nella più ampia Unione.
La
foto di rito chiede di mettersi in posa, ognuno, di par suo, per
tentare di passare a maggior gloria. C'è da scommettere che lor
signori, impettiti e gaudenti, continueranno a far finta di non
vedere il baratro della dissoluzione della più grande, ed
incompiuta, ambizione politica del novecento.
Nicola
Forlani
Campoleone,
21 ottobre 2012