mercoledì 7 gennaio 2009

I diritti d Libertà - Una strada per giungere alla Federazione europea?

Campoleoene, 16 settemrbe 2007

RITORNARE AL DIBATTITO TEORICO

Il Trattato che adotta una costituzione per l’Europa, sottoscritto a Roma il29 ottobre 2004, non entrerà mai in vigore ed verrà dimenticato tra gliscaffali di ostinati studiosi di cose europee. Eppure, il dibattito che haanimato esperti e commentatori negli ultimi anni ha evidenziato una serie diproblematiche di carattere teorico, e non solo, che si riproporranno ogniqual volta si dovranno valutare le proposte che avranno l’ambizione dipromuovere una maggiore integrazione politica del continente su basifederali.

Quattro sono di sicura importanza: 1) la garanzia costituzionale dei dirittie delle libertà fondamentali quale fattore di legittimazione democratica delnuovo ente. 2) La natura giuridica del documento che sarà alla base della nuovo ordinamento. Costituzione in senso proprio o trattato internazionale rivestito di un lessico costituzionale. 3) Gli attributi di statualità rintracciabili nel nuovo ordinamento: sovranità, potestà di imperio, territorio, popolo, competenze, cittadina, centralizzazione e decentralizzazione. 4) Le modalità di produzione giuridica del nuovo ordinamento: apparato istituzionale ed organizzativo, legislazione ed esecuzione.

Su questi temi coltivare l’esercizio puramente teorico potrebbe rivelarsi un’attività non certo fine a se stessa. La codificazione e la classificazione per astrazioni lessicali potrà consentire di attrezzare, attraverso il dibattito, una visione sufficientemente coincidente tale da consentire, per il futuro, la definizione di una linea strategia coesa e, oggettivamente, condivisa.

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LA GARANZIA DEI DIRITTI ALL’INTERNO DEGLI ORDINAMENTI COSTITUZIONALI

Il Trattato di riforma, che a breve probabilmente sarà sottoscritto nella città di Lisbona, riprenderà, con effetti giuridicamente vincolanti, la Carta dei diritti fondamentali. In tema di diritti di libertà un aspetto poco approfondito riguarda la funzione stessa dell’elencazione dei diritti all’interno delle moderne costituzioni.

Dieter Grimm, giurista, nonché ex presidente della Corte costituzionale tedesca, sostiene che non è sufficiente l’esame del catalogo dei diritti fondamentali per stabilire se uno stato si possa, o no, fregiare della definizione di stato sociale. La Germania fornisce al riguardo l'esempio più chiaro. La Legge fondamentale ha rinunciato deliberatamente alla menzione dei diritti sociali fondamentali, accontentandosi di proclamare i classici diritti di libertà. Questo non equivale a sostenere che la Repubblica federale possiede le caratteristiche di uno Stato sociale in misura minore della Repubblica di Weimar, la cui costituzione conteneva una pletora di diritti fondamentali.

Hans Kelsen ne “I lineamenti di teoria generale dello Stato”, pubblicati nel 1926, dedica alla questione un’intera lezione di cui si ripropongono due estratti. Sostiene l’autore: “ Le moderne costituzioni, di regola, contengono infatti un catalogo di siffatti diritti di libertà. Sorti storicamente dalla rappresentazione naturalistica di norme assolute, limitanti lo Stato, derivanti da un’istanza dello Stato, esse – come contenuto di diritto positivo – sono norme dello Stato.

In quanto si presentano come norme che vietano allo Stato certe invadenze nella sfera delle libertà dei sudditi, questi diritti di libertà sono per lo meno superflui. E’ infatti privo di senso proibire atti dello Stato i quali, finché non vengono esplicitamente comandati, finché certi essere umani quali organi dello Stato non siano autorizzati a compierli, cioè ne vengono obbligati, giuridicamente addirittura non sono possibili. L’essere umano può fare tutto ciò che non gli è vietato dallo Stato, cioè dall’ordinamento giuridico.

Lo Stato, cioè l’essere umano quale organo statale, può fare soltanto ciò che l’ordinamento giuridico espressamente gli permette. … Con chiarezza appare la superfluità di siffatte codificazioni dei diritti di libertà quando esse, come spesso accade, assumono la forma per cui invadenze dello Stato in determinate sfere di libertà possono essere effettuate solo
sulla base della legge”.

IL DIRITTO ALLA VITA E LA PENA DI MORTE. UN CASO EMBLEMATICO

Nell’articolo II-62 del Trattato costituzionale (TC) si afferma, “Ogni persona ha diritto alla vita”. E’ evidente la sostanziale indeterminatezza della proposizione di principio. Il diritto alla vita ha effettivo valore e possibilità di applicazione solo e in quanto analizzato in rapporto alle potestà attribuite all’ordinamento nazionale o sovrannazionale. L’interruzione di gravidanza, le malattie terminali, l’eutanasia, e persino l’obbligo di difesa militare dello stato relativizzano il diritto genericamente affermato, con altri, in forma di catalogo.

Pertanto la sommatoria delle cose che per legge, costituzionale o ordinaria, sono consentite all’ordinamento statale, e per il suo tramite ai cittadini, in materia di diritto alla vita (diritto civile, penale, di famiglia, del lavoro) determinano, di fatto, il principio e il suo ambito di applicazione. Innumerevoli sono gli altri esempi. Il diritto alla salute (art. II-95 del TC) è tale solo ed in quanto è possibile tutelarlo all’interno del sistema sanitario nazionale (pubblico, privato, a pagamento o a spese dello stato).

Solo attraverso l’applicazione del principio di bilanciamento dei beni si può fissare il parametro che consente la determinazione del contenuto di questi beni e nel computo dei limiti dei diritti fondamentali. Peter Häberle, probabilmente il maggior teorico del contenuto essenziale dei diritti fondamentali, nella sua opera “Le libertà fondamentali nello Stato costituzionale”, tradotta in italiano per le edizioni Carocci, precisa: “ Il legislatore nel concretizzare i limiti immanenti ai diritti fondamentali, non vulnera questi ultimi, non li relativizza, bensì li rafforza e li garantisce, o piuttosto li determina … non disciplina un diritto che si pone in contrasto con il sistema dei valori dei diritti fondamentali , bensì da
attuazione a questi ultimi.”.

Ma il legislatore è colui che opera prioritariamente per legge ordinaria, il rappresentante politico della volontà popolare diffusa, colui che determinerà positivamente insieme alla ponderazione dei principi e dei valori l’attuazione stessa di un complesso di norme ordinanti potestà attribuite allo Stato, ad esempio in tema di aborto. A meno che in un catalogo di diritti non si vieti, espressamente, la pratica dell’aborto, non c’è principio attualmente presente nelle costituzioni o nelle carte dei diritti che possa far ricomprendere, inequivocabilmente, l’aborto quale pratica contraria al diritto alla vita. Anzi, è vero giusto il contrario.

Per Ulpiano, Digesto, “nulla poena sine lege”. La seconda frase dell’articolo II-62 del Trattato costituzionale recita: “nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato”. Il confronto con l’articolo 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) in tema di diritto alla vita, ci consente di valutare gli elenchi di diritti nella loro rappresentazione storica. L’art. 2 CEDU, infatti, stabilisce che “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere inten­zionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pro­nunciata da un tribunale, nei casi in cui il delitto sia punito dalla legge con tale pena”.

Ricordiamo che l’apertura della firma della CEDU è avvenuta a Roma il 4 novembre 1950 ed è entrata in vigore, alla condizione di 10 ratifiche, il 3 settembre 1953, mentre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata proclamata a Nizza il 7 settembre del 2000.

Nel 1950 in alcuni paesi europei si eseguivano ancora condanne capitali. In Gran Bretagna l’ultima esecuzione è del 1964 e la pena di morte è stata abolita definitivamente il 31 luglio 1998. L’ultima sentenza in Francia è del 10 settembre 1977, Hamida Djandoubi la donna giustiziata. La pena di morte in Francia è stata proibita per legge da Mitterandt nel 1981 e definitivamente nella Costituzione nel 2007.

La Costituzione italiana, non prevede la pena capitale, esclusi i casi regolati dalle leggi militari di guerra (comma 4, art. 27). Fortunatamente il codice militare di guerra, con legge 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena. Esiste però un vuoto costituzionale: non è stato ancora sancito il principio che vieta la pena di morte in ogni caso. Pertanto, sarebbe possibile una sua reintroduzione per legge ordinaria.

Ad esempio, con la stesso decreto del Presidente della Repubblica sulla dichiarazione dello stato di guerra. Ipotesi per nulla peregrina visto che il decreto legge 1° dicembre 2001 n. 421, convertito in legge 31 gennaio 2002, n 6, recante norme urgenti per la partecipazione di personale militare all'operazione multinazionale denominata "Enduring Freedom", ha previsto che al Corpo di spedizione italiano si applicasse il codice penale militare di guerra, con esclusione delle disposizioni di natura processuale, ancorché in tempo di pace.

Solo dopo l’abolizione della pena di morte nei più influenti stati europei, Gran Bretagna e Francia in testa, viene introdotto il relativo principio nella CEDU. Prima con il protocollo 6 (1) firmato a Strasburgo il 28/04/1983, che in ogni caso non esclude la pena capitale per atti commessi in tempo di guerra o di pericolo imminente di guerra, e successivamente con il protocollo 13 (2). Quest’ultimo abolisce la pena in ogni circostanza con una formulazione del tutto simile al corrispondente articolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.

LA CODIFICAZIONE DEI DIRITTI NELLO SPAZIO E NEL TEMPO

Il protocollo 13 alla Convenzione, firmato a Vilnius il 3 maggio 2002, quasi due anni dopo la proclamazione della Carta Ue a Nizza, a tutt’oggi risulta firmato, ma non ancora ratificato, da Italia e Francia, in buona compagnia di Spagna, Lettonia, Polonia e Armenia. Sui 47 stati membri del Consiglio d’Europa, Arzebaijan e Russia non l’hanno firmato. La Russia è l’unico stato a non aver ancora ratificato anche il protocollo 6 alla Convenzione.

Nel caso italiano occorre evidenziare che la ratifica del protocollo 13 comporterebbe la modifica dell’art. 27 della Costituzione che ancora consente il ricorso alla pena capitale nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. La questione è oltremodo spinosa. In caso di non raggiungimento della maggioranza dei 2/3 sulla legge costituzionale di modifica potrebbe essere richiesto un referendum confermativo. Si può ben immaginare quale canaia qualunquista e demagogica si andrebbe ad alimentare nell’opinione pubblica.

In epoca contemporanea le carte dei principi rappresentano una codificazione del presente storico, ad iniziare dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’Umani firmata a Parigi il 10 dicembre 1948, promossa dall’assemblea generale delle Nazioni Unite e priva di valore giuridicamente vincolante per gli stati membri. Gli elenchi di principi sono più lo specchio di una dato di fatto, una classificazione sul minimo comun denominatore possibile rispetto a condizioni oggettive, siano esse politiche che di potere, che non un segno di progresso rispetto a fini di maggiore civilizzazione ancora da raggiungere a valore trascendente.

A livello internazionale tali codificazioni più che promuovere nuove tutele rappresentano sottoscrizioni di diritti che hanno già ampio riconoscimento negli ordinamenti giuridici nazionali. Le poche eccezioni che possono essere sollevate non fanno che confermare la regola generale. Altra questione è la funzione di elenchi di diritti in fasi storiche di natura rivoluzionaria, come la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino del 1789.

Peter Häberle chiarisce il concetto quando sostiene (3): “Se si devono concretizzare la costituzione come un sistema di valori (Wertsystem) e il Grundgesetz come un ordinamento legato a dei valori, allora questi non devono essere interpretati come un firmamento astratto. I valori non vengono imposti alla costituzione e all’ordinamento giuridico dall’esterno oppure dall’alto. Non hanno la pretesa di essere validi comunque e a priori, senza alcun riferimento allo spazio e al tempo in cui si trovano. Ciò sarebbe contrario al senso della costituzione, che rappresenta un ordinamento complessivo della vita del presente e che deve fare riferimento alla
caratteristiche peculiari di questo presente e coordinare le forze vitali di
un’epoca nell’ambito di un sistema unitario.”

LE LIBERTA’ FONDAMENTALI E I DIRITTI DI CITTADINANZA NELL’UE

Le classiche libertà fondamentali dell’Unione europea (art.I-4 del TC, attuali artt. 12 e 14 TCE) libertà di circolazione delle persone, dei servizi, delle merci, dei capitali e libertà di stabilimento trovano nel trattato stesso le norme che ne disciplinano la tutela e l’attuazione. Non viene solo richiamato il principio (artt. II-99, II-100, II-105, II-106 del TC) secondo il quale lo Stato membro non può impedire la circolazione delle persone alle sue frontiere (anche qui con eccezioni disciplinate sempre dalla legge), ma si specifica, sin nei minimi particolari, ciò che all’ordinamento dell’Unione è consentito o per cui vi è obbligo giuridico in
materia. Nel trattato costituzionale i diritti fondamentali sono disciplinati dagli artt. III-130 a III-160. Tutte politiche che trovano la loro base giuridica già nei trattati attualmente in vigore.

Nel caso delle quattro libertà fondamentali, al principio generale vengono associate le politiche e le disposizione di applicazione in capo all’ordinamento giuridico comunitario. Politiche definite in base al principio di attribuzione delle competenze enumerate. Identico ragionamento può essere sviluppato anche per i diritti di cittadinanza di natura politica (elettorato attivo e passivo per l’elezioni al Parlamento europeo e allo elezioni comunali dello stato membro di residenza, tutela diplomatica all’estero, diritto di petizione al Parlamento europeo, diritto di ricorso al Mediatore europeo) che trovano tutti applicazione nel quadro delle politiche comunitarie secondo il principio di attribuzione.

Pertanto, l’affermazione di un principio all’interno della Carta dei diritti fondamentali (parte II del trattato costituzionale) non introduce affatto competenze nuove. Per inverso nel caso di competenze già attribuite all’Unione si possono rintracciare riferimenti di principio all’interno della Carta. Se la Carta affermasse il diritto alla casa questo non vorrebbe dire che tutti i cittadini europei possono chiedere un alloggio alla Commissione europea, a meno che l’Unione non attribuisse esplicitamente tale competenza alla Commissione.

La disciplina stessa di applicazione della Carta è chiaramente definita nell’art. II-111 del Trattato costituzionale dove al comma due si afferma “La presente Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze ed i compiti definiti nelle altre parti della Costituzione”.

COMPETENZE E CRITERI DI DETERMINAZIONE

Per il futuro, senza tralasciare i pur importanti aspetti giurisprudenziali, dichiarativi o interpretativi, dei diritti stabiliti per elenchi (per loro natura spesso insufficienti, lacunosi e tardivi), è auspicabile concentrare maggiore attenzione alle più derimente questione delle competenze (esclusive, concorrenti o complementari), ma ancor di più sui criteri di determinazione delle competenze (di attribuzione, di sussidiarietà, di prossimità, di proporzionalità). E’ in tale ambito che si potrà valutare l’effettiva portata degli elementi innovativi.

Il principio di competenza enumerata, tipico degli organismi internazionali trova fonte costitutiva nei trattati, mentre il principio di competenza generalista (non caso per caso), in capo allo stato, trova fonte costitutiva nella costituzioni propriamente dette. Nel sistemi federali la ripartizione delle competenze avviene per aree (difesa, concorrenza, sanità, giustizia ecc.) o attraverso l’individuazione degli organismi decisionali responsabili. Nel sistema europeo si stabiliscono non solo le aree di competenza ma le istituzioni competenti, le procedure decisionali e spesso anche gli obiettivi che devono essere perseguiti e le azioni che possono essere svolte nell’abito delle singole politiche. Il trattato costituzionale non modifica per nulla questo equilibrio. Anzi, stabilisce inequivocabilmente all’art. I-1 che “ …la presente Costituzione istituisce l’Unione europea, alla quale gli Stati membri attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni..” Infatti, la parte III del trattato descrive dettagliatamente le singole politiche, riprendendo, quasi sempre, in maniera integrale le disposizione dei trattati attualmente in vigore.

Paradossalmente la cancellazione della parte III del trattato costituzionale, in buona sostanza di cinquant’anni di storia comunitaria, ed una riformulazione delle categorie di competenze con l’inclusione della politica energetica, estera e di difesa tra le materie esclusive avrebbe consentito all’Unione il salto federale. Si sarebbero definite solo le aree di competenza senza nessuna enumerazione pedissequa della delega degli Stati all’Unione. Ciò corrisponderebbe ad una rivoluzione copernicana, al superamento della legittimazione negoziale e funzionale, ad una completa rifondazione dell’ordinamento giuridico sovrannazionale, alla cessione effettiva della sovranità nazionale, alla costituzione, di fatto, dello Stato europeo.

In altre parole, il potere reale, su una determinata materia (competenza), contemplata anche e non sempre all’interno di un catalogo di diritti (beni giuridici), a chi (organo nazionale o sovrannazionale) è attribuito? Se l’ultima parola resta in mano agli Stati siamo in una confederazione. Se è attribuita all’Unione siamo in una federazione. E’ solo su questo piano che si potrà realmente rafforzare la legittimazione democratica dell’Europa e con essa la prospettiva di traguardare l’obiettivo della fondazione dello Stato federale.

Nicola Forlani

(1) Protocollo n° 6 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali sull'abolizione delle pena di morte. http://conventions.coe.int/Treaty/ita/Treaties/Html/114.htm

(2) Protocollo n° 13 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali relativo all'abolizione delle pena di morte in ogni circostanza.

(3) P. Häberle, Le libertà fondamentali nello stato costituzionale, Carocci, Roma, 2005

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