Campoleoene, 13 novembre 2007
Il concetto di Europa, luogo geografico e politico, è utilizzato da tutti coloro che possiamo, a rigor di logica, definire europeisti. Mais transgenico? Un problema europeo. Precariato salariale? Un problema europeo.
Incendi estivi? Un problema europeo. Subcultura calcistica ed ordine pubblico? Un problema europeo. Papà ha perso l’aereo? Ovviamente, anche in questo caso, il problema non può che essere europeo. Una prospettiva nella quale l’Europa è svilita alla funzione di cacio sui maccheroni, buona con qualsiasi minestra e per ogni sugo.
Discettare su questioni pseudo politiche che si collocano al di fuori del quadro teorico e culturale del federalismo militante è, quasi sempre, un esercizio sterile e fine a se stesso. Nella peggiore delle ipotesi si rischia di dire castronerie, nella migliore di rimestar acqua nel mortaio.
Prendiamo ad esempio la visione, tutta europeista, dell’Europa come risposta storica al nazifascismo. Apparentemente sembrerebbe un’affermazione animata dal più comune buon senso. Se invece è letta attraverso i principi teorici del federalismo autonomista ci appare in tutta la sua parzialità e contraddittorietà.
Il federalismo, nella sua dimensione politica e affatto utopistica - così come definito nel Manifesto di Ventotene - è la risposta alla crisi degli stati nazionali. Più precisamente, è un progetto di azione finalizzato alla creazione dell’unione politica del vecchio continente su basi statuali e federali quale unico possibile antidoto alla crisi della civiltà moderna: il nazionalismo disconosce il principio di libertà secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita.
Tanto l’ideologia liberale quanto quella socialista sono fallaci proprio ed in quanto negatrici, nelle loro rappresentazioni nazionali, dei diritti di libertà dell’individuo. Il prodotto storico della convivenza umana, sia esso in una visione conservatrice che progressista, resta sempre ed in ogni caso la nazione.
In tale prospettiva tanto il nazifascismo (nazionalsocialismo tedesco e fascismo italiano) quanto il marxismo leninismo prima e lo stalinismo poi (ambedue espressioni reali dell’ideologia comunista) rappresentano la degenerazione totalitarista della visione ideologica nazionale. Pur proclamando diritti sociali, economici e politici, tali regimi, nei fatti, ledono i fondamentali diritti di libertà. Il totalitarismo, sia fascista che comunista, è espressione estrema del nazionalismo.
Lo dice chiaramente il Manifesto: “Un’Europa libera ed unità è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto”. Inoltre nelle Tesi politiche uscite dalla riunione milanese dell’agosto 1943 (atto di fondazione del Movimento) si legge: “Indipendenza nazionale, libertà, socialismo saranno vitali e benefiche solo se avranno come premessa – e non semplicemente come conseguenza – la federazione, vale a dire un ordinamento politico che garantisca la pace e la giustizia internazionale”.
Il federalismo militante (pensiero ed azione) nasce durante la lotta di liberazione e si qualifica come componente essenziale della resistenza europea. Ma come ha chiarito Noberto Bobbio non è né la risposta al nazifascismo né, tanto meno, guerra per un nuovo assetto sociale, ma una visione politica che deve inventare il futuro (1).
E’ quindi evidente come, in una prospettiva più organicamente federalista, il concetto di Europa non può che essere considerato quale risposta alla crisi dello stato nazionale, sia esso democratico/liberale che trasfigurato nelle sue rappresentazioni totalitarie (la distinzione in fasciste o comuniste è cosa rilevante sole ed in quanto intimamente commisurabili).
Campoleone, 13 novembre 2007
(1) Noberto Bobbio, Il Federalismo nel dibattito politico e culturale della resistenza, in Manifesto di Ventotene, Il Mulino, 1991.
"I motivi ispiratori della resistenza europea si possono disporre su tre livelli: secondo che si consideri come guerra contro il fascismo, e in genere contro il dispotismo in nome della democrazia, come guerra per un nuovo assetto sociale contro ogni forma di restaurazione dell’antico regime. L’ideale federalistico si pone su questo terzo livello: la resistenza che deve insieme chiudere e aprire, distruggere per costruire, essere negazione non in senso formale ma in senso dialettico. Che non deve limitarsi a vincere il presente ma deve inventare il futuro. Il federalismo fu, ed è tuttora, una di queste invenzioni storiche. Per questo è legato a quel momento creativo della storia che fu la resistenza europea.”
Nicola Forlani
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