venerdì 5 dicembre 2008

Cia, rapporti transatlantici. Nuovo multilateralismo?

Campoleone, 25 settembre 2006


La lotta al terrorismo internazionale vede protagonista la Cia sin dall’avvio delle campagne militari del presidente di guerra George Bush. La scelta unilateralista, che scavalca il Consiglio di sicurezza dell’Onu e che stravolge il quadro dei rapporti internazioni degli Stati uniti dopo la fine della guerra fredda, ha nella Cia tanto l’elemento di continuità che di discontinuità tra l’amministrazione Clinton e Bush. I falsi rapporti sulla detenzione di armi di distruzione di massa in Iraq, le informative che mettevano in luce la recrudescenza delle attività terroristiche di Al Qaeda avvalorano la tesi che vede nella Cia, oltre un’organizzazione di intelligence, un vero e proprio soggetto capace di indirizzare il corso della politica internazionale. Capacità tanto più evidenti e pervasive se confrontate ad un debole ed impalpabile Presidente americano, condizionato e condizionabile, ma anche una debolissima Europa, condizionabile e condizionata.

Il 15 dicembre 2005 il Parlamento europeo adotta una risoluzione che chiede un’indagine sulle attività della Cia in Europa in relazione ai presunti voli di prigionieri e alle carceri clandestine. La risoluzione ammonisce che qualora siano provate queste ipotesi, il Parlamento chiederà la sospensione dei diritti in seno all’Ue degli Stati membri coinvolti. La risoluzione è approvata con 369 voti favorevoli, 127 contrari e 32 astensioni. La commissione temporanea d’inchiesta deve accertare se la Cia è stata coinvolta nelle consegne speciali dei prigionieri fantasma sottoposti a trattamenti crudeli e tortura in siti segreti presenti nel territorio dell’Unione europea e se tra le operazioni speciali figurano cittadini e/o funzionari pubblici degli stati membri dell’Unione.

Il 6 luglio 2006 il Parlamento approva la relazione intermedia della commissione, predisposta dal relatore Claudio Fava, in cui si afferma “ La Cia, i taluni casi, è stata direttamente responsabile dell’arresto, dell’espulsione, del rapimento e della detenzione illegali di persone sospettate di terrorismo in Europa”. Con 389 favorevoli, 137 contrari e 55 astensioni il Parlamento approva la relazione e prolunga di sei mesi i lavori della commissione stessa.

Anche il Consiglio d’Europa si occupa della questione. Il 3 luglio a larga maggioranza (95 si, 16 no e 9 astenuti), l’Assemblea parlamentare approva la relazione del senatore svizzero Dick Marty sulle operazioni Cia in Europa. Si afferma che agenti de i servizi nazionali europei hanno collaborato alle consegne ed hai trasferimenti di persone sospettate di terrorismo. Il rapporto cita 14 paesi europei che sono stati coinvolti nei voli segreti della Cia e nel caso di Polonia e Romania, per aver ospitato i centri di detenzione clandestini. Sette i paesi accusati di violazione dei diritti dell’uomo nel corso dei trasferimenti illegali: Italia, Svezia, Bosnia Herzegovina, Regno Unito, Macedonia, Germania, Turchia. Altri sette paesi, Polonia, Romania, Spagna, Cipro, Irlanda, Portogallo e Grecia, sono citati per collusione. Il Commissario Franco Frattini, vice presidente e commissario europeo alla giustizia e interni, nonché ministro degli esteri italiano all’epoca del sequestro di Abu Omar nel 2003 a Milano, è stato presente alla seduta.

Lo strappo nei rapporti tra Europa e Stati Uniti dopo l’11 settembre nasce anche dalla valutazione degli americani circa l’assoluta insufficienza dell’Europa nel settore della sicurezza e della difesa. L’Unione europea non è in grado di sostenere l’apparato antiterroristico americano che fa perno, prima ancora che sulle strutture militari, sui propri servizi segreti. Consiglio europeo, Mister Pesc, Europool, Eurojast oscillano tra l’inesistente ed il patetico quando si confrontano con le politiche antiterroristiche. L’unilateralismo americano arriva a distinguere tra gli europei buoni, gli asserviti agli interessi americani, ed i cattivi, Francia in testa, inutili e veteroeuropei. L’Europa è, per volontà americana ma anche per sua incapacità oggettiva, solo un triste comprimario di attività illegali di contrasto antiterroristico della Cia.

Molti osservatori mettono in evidenza come l’amministrazione Bush stia progressivamente abbandonando la scelta unilateralista. Se così fosse, il cambiamento di rotta non potrebbe non vedere il sostanziale consenso dei servizi di intelligence. Il 21 giungo si è tenuto il Vertice Usa/Ue a Vienna che ha rilanciato la partnership strategica e contrasto al terrorismo internazionale, anche se rimangono aperte le questioni sull’uso illegittimo del trattamento dei prigionieri in conformità al diritto umanitario internazionale. La recente crisi libanese, con l’intervento di interposizione delle forze Unifil sotto il comando strategico dell’Onu, con gli USA spettatori consenzienti, sembra avvalorare la tesi di un cambiamento di rotta.

Non potremmo trovarci di fronte a scelte di opportunismo tattico che non vanno ad incidere minimamente sulla scelta unilateralista? Gli Stati Uniti sono l’alleato di Israele, non avrebbero mai potuto farsi promotore di un’iniziativa di pacificazione credibile agli occhi dei paesi arabi. Siamo in presenza di un nuovo corso delle relazioni transatlantiche o solo in una fase in cui gli Europei divisi, incapaci di garantire un’efficace presenza internazionale di contrasto al terrorismo internazionale, sono opportunamente utilizzati per attività marginali e di supporto come l’interposizione tra forze belligeranti?

La strategia di guerra appare fallimentare. L’Iraq e l’Afganistan sono sempre più incontrollabili.
Ben Laden è imprendibile. Al Qaida è sempre più forte ed organizzata. Eppure il Presidente Bush rilancia ancora una volta la scelta bellicista in vista delle elezioni di metà mandato del prossimo novembre.

L’Europa nasconde le ferite accumulate durante la triste e per molti versi indecorosa vicenda costituzionale, sotto la foglia di fico del grande successo ottenuto con l’accordo/staffetta sul comando dei contingente Onu in Libano. Né l’Unione europea, né alcuno dei suoi 25 Stati membri, è capace articolare un seppur minimo cenno sull’improrogabile esigenza della creazione di strumenti di difesa e sicurezza, esercito compreso. L’Europa non è capace di diventare alleato paritario e si accontenta di essere asservita agli interessi degli Stati Uniti. Possono mai essere queste le premesse per il rilancio di un nuovo corso delle relazioni internazionali che prescindono dalle prioritarie esigenze, approvvigionamenti energetici compresi, degli Stati Uniti?

Nicola Forlani

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