Campoleone, 27 gennaio 2008
Uno dei più evidenti malcostumi della vita politica italiana è quello di tirar per la giacca il Presidente della Repubblica: ci si appella alle sue prerogative istituzionali per sostenere, partigianamente, questa o quella posizione di comodo.
Anche nel Movimento federalista, organizzazione che fa sempre più fatica a rimarcare e coltivare la propria autonomia di pensiero (dimensione propria di linguaggio, astrazioni concettuali, costruzioni idealtipiche), sta prendendo piede il malvezzo di utilizzare, a pezzi e bocconi, le esternazioni dell’inquilino del Colle.
Nell’ultimo comunicato della segretaria MFE, per ampie parti condivisibile, ma che ha un evidente limite nell’indeterminatezza prospettica in cui va a collocarsi, si cita il Presidente per aver ricordato, solennemente, le radici europee della costituzione italiana. Vero! Bello! Ma drammaticamente poco o nulla se paragonato con l’altissimo profilo degli interventi di Giorgio Napolitano in tema.
Il 27 Novembre 2007, in occasione della sua visita all’Università di Humboldt, egli ha tenuto una lezione su: “Sciogliere l’antico nodo di contrastanti visioni del progetto europeo. Far emergere una nuova volontà politica comune” (http://www.quirinale.it/Discorsi/Discorso.asp?id=34484).
Un contributo, che per chiarezza delle argomentazioni e brillantezza dell’esposizione, colloca il Presidente tra i migliori eredi della tradizione europeista, e per molti versi federalista, del nostro paese.
Nella Lectio Magistralis, egli ha richiamato lo spirito delle origini e ha riaffermato la sua persistente vitalità. Ha sostenuto come l’Idea della federazione europea sia stata, e permanga, il motore del processo di integrazione. Ha tracciato i confini dell’Europa e le sue nuove responsabilità di attore globale. Ha affermato la necessità dell’integrazione differenziata per poter continuare a proseguire l’obiettivo dell’unione politica. Ha fatto appello al ruolo dei paesi fondatori come Italia, Francia e Germania.
Il Presidente si è spinto sino ai limiti di ciò che poteva dire, alla luce dei doveri a cui è chiamato dall’alta magistratura attualmente ricoperta. Oltre dovrebbe procedere chi può, chi deve. Di certo nel ruolo di avanguardia progressista non si colloca, al momento, il Movimento.
Il MFE continua, pervicacemente, ad esprimere una posizione fortemente conservatrice, ancorata al defunto schema convenzionale che ha trascinato nell’oblio anche lo slancio pioniere e le logiche di integrazione funzionale della piccola Europa degli anni ’80. Le sue risoluzioni politiche sono sempre più edulcorate e inoffensive nei riguardi delle logiche di potere nazionale e comunitario. Nel suo livello dirigente tendono sempre più a prevalere interessi, seppur legittimi, ma sostanzialmente estranei all’organizzazione stessa.
Giorgio Napolitano ha avuto sempre grande attenzione per le proposte che giungono dal MFE. I soliti ben informati (vox populi, vox dei) raccontano che avrebbe avuto modo di incrociare la balzana e circonvoluta proposta della convenzione democratica costituente. Le sue reazioni sarebbero state tra l’ilare e l’irato. Fortuna che il precipitare della situazione familiare del Ministro della giustizia e, per diretta conseguenza, la crisi di governo hanno repentinamente attratto la sua attenzione.
Con buona probabilità, il Presidente continuerà a sottolineare, anche pubblicamente, il ruolo del federalismo militante (pensiero ed azione) quale componente fondante dello spirito e delle libertà repubblicane. Lo ha fatto per il passato. Non ci sono buoni motivi per i quali non debba continuare a farlo per il futuro.
E’ facile però prevedere che, come avvenuto al Congresso di Roma, porrà particolare attenzione a non associare il proprio nome con slogan abborracciati come quello del referendum europeo di ratifica del trattato costituzionale che, per approssimazione ed inutilità, richiama tanto quello della convenzione democratica costituente. Grazie Presidente, per la pazienza e la lungimiranza.
Nicola Forlani
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