Campoleoene, 12 febbraio 2007
Premessa
Le recenti riflessioni di Giulio Tremonti, circa la necessità di attribuire il potere di iniziativa legislativa al Parlamento europeo e al Consiglio, fanno da corollario a quelle di Giuliano Amato sulla necessità di superare il monopolio dell’iniziativa attualmente in capo alla Commissione. La questione potrebbe apparire come una delle tante in tema di risoluzione del deficit democratico.
A ben vedere c’è molto di più. Con tali proposte si mette in discussione il concetto stesso di legittimità negoziale e funzionale dell’Unione (1), limite intrinseco dell’attuale struttura comunitaria, che non viene per nulla scalfito dal Trattato costituzionale, emendato o no che sia. Per molti versi il TCE tende addirittura ad accentuare e meglio chiarire il principio della condivisione delle competenze e delle responsabilità.
Potere di iniziativa. Monopolio della Commissione
Attualmente il potere di iniziativa è di regola in capo alla Commissione. Il TUE è chiarissimo in materia e non è un caso se ogni proposta della Commissione debba indicare anche la base giuridica, cioè l’articolo del trattato che autorizza l’adozione di un determinato atto. Consiglio e Parlamento hanno assoluto rilievo nell’iter legislativo delle proposte della Commissione, ma non hanno capacità di iniziativa, e conseguentemente di proposta politica (2).
Con il TCE le istituzioni dell’Unione si rafforzano sempre di più nelle loro prerogative negoziali proprio grazie all’estensione del voto a maggioranza e della procedura di codecisione legislativa. In particolare, il TCE attribuisce alla Commissione il potere di iniziativa esclusivo nel quadro della procedura legislativa ordinaria. Nella buona sostanza si accentua la dimensione tecnocratica delle istituzioni a tutto discapito della più auspicabile dimensione democratico/politica.
Iniziativa legislativa in capo alle assemblee parlamentari
Togliere il monopolio del potere di iniziativa alla Commissione per condividerlo con il Parlamento ed il Consiglio rappresenterebbe un’innovazione di assoluto rilievo e prioritariamente politica. Nel Parlamento si formerebbero maggioranze omogenee su visioni e scelte politiche alternative intorno a specifici provvedimenti legislativi, ad iniziare da quello principe, la legge di bilancio.
La Commissione si troverebbe nelle condizioni di dover raccogliere i consensi su un’effettiva maggioranza politica trasformandosi così in effettiva compagine governativa ed esecutiva responsabile di fronte al Parlamento ed, in ultima istanza, di fronte ai cittadini europei. Nel processo entrerebbe in gioco anche il Consiglio che, dotato di iniziativa legislativa, si trasformerebbe in vera e propria assemblea senatoriale ad elezione indiretta dei suoi componenti.
Dal principio di attribuzione delle competenze enumerate a quello generalista
Se l’obiettivo dell’Unione politica volesse essere effettivamente sostenuto andrebbe anche superato l’attuale principio di attribuzione delle competenze enumerate (aree di competenza, istituzioni responsabili e procedure decisionali, obiettivi che le istituzioni devono perseguire), principio confermato e ancor meglio chiarito nell’art. I-11 TCE sui principi fondamentali delle competenze dell’Unione, ed adottato invece il principio di attribuzione di competenze a carattere generale (3).
La questione quindi non si porrebbe più come per il passato e cioè: quali ulteriori e specifiche competenze attribuire all’Unione. Oggi si dovrebbe discutere di quali competenze di carattere generale attribuire l’iniziativa legislativa al Parlamento, al Consiglio e alla Commissione stessa. Quelle prioritarie dovrebbero essere la competenza economica, la competenza nel settore della politica estera e di sicurezza, la competenza nelle questioni della difesa.
Lo stato federale obiettivo ineluttabile
A ben pensarci un’organizzazione politica a competenza generalista, con l’iniziativa legislativa riconosciuta alle assemblee elettive (presidio del processo democratico di raccolta e gestione del consenso politico), le cui norme agiscono per potere sovrano in un determinato territorio e per una pluralità di cittadini ivi residenti (popolo), in termini di dottrina si può definire quale stato costituzionale e parlamentare. Ed essendo di natura sussidiaria rispetto a realtà statuali preesistenti si può ulteriormente definire quale stato federale e plurinazionale a carattere strumentale.
La definizione giuridica minima per il riconoscimento della natura federale di un futuro ordinamento europeo non ci aiuta però a comprendere né quando, né con chi, né su cosa è possibile fare il salto. Per trovare risposta a queste domande si dovrebbe prima definire la questione relativa al quadro generale di riferimento, cioè al come.
E’ possibile fare il salto federale in un gruppo d’avanguardia, nell’attuale dimensione comunitaria a 27, tramite lo strumento delle cooperazioni rafforzate (mai utilizzate sino ad ora) ovvero se è invece indispensabile un atto di discontinuità, rispetto al processo di integrazione/costituzionalizzazione funzionalista, che preveda un’iniziativa di rifondazione politica al di fuori dei trattati esistenti.
Come fare il salto federale
La logica delle cooperazione rafforzate resta essenzialmente funzionale anche nel TCE e si presta ben poco ad introdurre elementi di rottura negli assetti comunitari per il fatto stesso che esse devono rispettare il quadro istituzionale unico e, conseguentemente, l’attuale ripartizione dei poteri fra Consiglio, Parlamento e Commissione. Le novità mirano a facilitarne l’instaurazione, ma solo in settori previsti dai trattati stessi e ad esclusione di quelli militari (4) e della difesa.
Tanto l’art. 43 TUE, comma 1 che l’art. I-44-TCE, comma 1 chiariscono come per instaurare una cooperazione rafforzata si deve in ogni caso far ricorso alle istituzioni, alle procedure ed ai meccanismi previsti dal trattato/costituzione.
Il che porterebbe ad escludere la possibilità che, in tema di condivisione dell’iniziativa legislativa e/o di introduzione di competenze generaliste e tanto più di utilizzo dello strumento referendario di ratifica, si possano utilizzare le cooperazioni rafforzate stesse. In tale prospettiva il salto federale o si fa tutti e 27 insieme (cosa ormai molto improbabile e al limite dell’impossibile) o con un nuovo atto fondante tra paesi pionieri al di fuori dei trattati esistenti.
E’ su queste basi che l’obiettivo dell’unione politica dell’Europa potrebbe trovare soluzione. Successivamente si potrà procedere all’elaborazione di un'effettiva costituzione formale. Allora sì che i federalisti potrebbero dirsi soddisfatti, lasciando alla fantasia di qualche avveduto diplomatico, opportunamente assistito da un affollato team di esperti di marketing, l’irrilevante questione di quale nome dare al testo che né fosse alla base.
Nicola Forlani
(1) Legittimità funzionale. Ciò che legittima un ordinamento pubblico come l’Unione da parte dei cittadini risiede nei risultati a vario titolo desiderabili. Il deficit democratico è tollerabile solo ed in quanto il livello europeo è più efficiente di quello nazionale.
(2) Eccezioni al monopolio dell’iniziativa già presente nel TUE e che sono confermate nel TCE sono quelle relative agli atti PESC (l’iniziativa è in capo agli stati membri e al ministro degli affari esteri dell’Unione con potere della Commissione residuale, artt. I-40, I-41 e II–299-TCE) e agli atti della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale (potere di iniziativa condiviso tra Commissione e Stati membri art. III-264-TCE).
Ma la loro portata è del tutto secondaria stante la natura intergovernativa della PESC da un alto ed il potere di iniziativa sempre in capo alla sola Commissione, tra le istituzioni comunitarie, nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale che, con il TCE, verrebbe di fatto comunitarizzata.
(3) Tanto l’art. 308 del TUE sui poteri impliciti che l’attività giurisprudenziale della Corte di giustizia non correggono più di tanto il principio enumerativo alla luce della limitazione alla possibilità di adozione di tali azioni al solo completamento del mercato unico. La stessa Carta dei diritti nel TCE è depotenziata nella sua valenza giuridica, sotto il profilo di enunciazione di diritti generalisti, proprio e perché applicabile solo nell’ambito delle competenze enumerate (art. II -111, comma 2 del TCE - “la presente Carta non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di là delle competenze dell'Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l'Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nelle altre parti della Costituzione). Identiche considerazione possono riguardare l’art. I-18 del TCE relativo alla clausola di flessibilità.
(4) Altra cosa è lo strumento della cooperazione strutturata permanente tra stati membri nel settore militare ex artt. I-41, comma 6 e III-312 del TCE a cui non si applicano le disposizioni previste per la cooperazione rafforzata.
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